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Una calibro 20 per lo specialista

Regia di Michael Cimino vedi scheda film

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La recensione su Una calibro 20 per lo specialista

di scapigliato
8 stelle

É un film di Michael Cimino (il primo) e si vede. Gli spazi sono la cifra determinante per vivere il film. É un road-movie, e anche questo basta per definire l’intera operazione. Siamo in un’epoca imprecisata, dove le chiese sono perse nell’immensità di un campo di grano, schiacciate dalla potente vastità del cielo. Un prete fa il suo sermone, un uomo entra in chiesa e, spalle alla luce del sole che filtra dalla porta, inizia a sparargli. Segue una lunga corsa nel vuoto del manto dorato del campo circostante. Poi un’incontro. Due uomini. Uno adulto, maturo, fatto e finito; l’altro giovane, imberbe, leggero, spocchioso. I due si piacciono subito, e al momento di lasciarsi appena dopo la rocambolesca fuga quasi confidano un’amore virile improvviso che però deve tacere. Il “resta con me” del giovane Jeff Bridges rivolto al Clint Eastwood carognesco che sta per prendere la sua strada è il sigillo che di solito arriva a fine film, ma che qui ha un valore costruttivo per la narrazione, e da un lato aiuta ad entrare nella dinamica affettiva sia della nuova coppia sulla strada sia dei singoli personaggi, a nudo davanti l’attrazione dell’amicizia vagabonda, maschia, complice e avventurosa che fa della libertà il grande tema del cinema di Michael Cimino.
Il film poi regge sulle caratterizzazioni di George Kennedy e Geoffrey Lewis e sulla sottotrama, che poi diventa la prima trama del film, che da road-movie lo fa diventare un robbery-movie incentrato su un grande colpo finale con cui chiudere la carriera. Ma è anche un western. Il western è infatti una poetica, non solo un’iconografia che crea un genere. In questa poetica i grandi spazi diventano comprimari delle storie narrate e gli ambienti umani, bar, gas station, strade e banche sono i relativi saloon, sentieri e banche del polveroso west. É un film circolare, come la vita, dove alla chiesa persa nel vuoto del campo di grano dell’inizio corrisponde la vecchia scuola persa nel vuoto di una strada statale sul finale. Vecchi edifici come memoria storica di un paese che s’è così ammodernato da non aver progredito, rimanendo nella sua crescita verticale solo un’esasperazione al negativo dei sogni e delle felicità costituzionali. Restano i vagabondi, i rubagalline, i giovani imberbi che vogliono cavalcare le strade libere degli spazi infiniti, e poi trovano solo la morte, la morte dello stato di diritto.

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