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Corte marziale

Regia di Otto Preminger vedi scheda film

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La recensione su Corte marziale

di Baliverna
8 stelle

Non poteva essere che bello questo film processuale, visto il calibro di regista e attori. Lo sfondo storico sono gli anni '20, quando l'aviazione militare americana si stava evolvendo da semplice branca dell'esercito, piuttosto bistrattata, a corpo indipendente e di primaria importanza. Al centro del film c'è un individuo solo che combatte per ciò che ritiene giusto contro molti personaggi potenti, mentre il buon senso suggerirebbe di lasciar perdere o di cercare un compromesso. Quella del protagonista è una scelta di coscienza per un'azione che sente di dover compiere anche a costo di rimetterci, e contro il parere di tutti. Se da una parte ci sono i vertici militari che lo avversano in ogni modo, dall'altra vediamo i suoi pochi amici. Essi lo aiutano più per un sentimento di ammirazione verso la sua sincera dedizione che per la convinzione che essa sia sensata e capace di successo.
Preminger cerca di far riflettere anche su concetti come subordinazione e obbedienza tra militari, se i primi cioè siano sempre giusti e da anteporre a qualunque altra considerazione. Senza mancare di rispetto all'esercito e ai suoi valori, il regista suggerisce che essi non possono essere principi assoluti che vengono prima anche della vita umana. Ciò che contraddistingue le alte cariche, che trascinano il protagonista davanti alla corte marziale per averle criticate pubblicamente, è l'ottusità e l'incapacità di pensare con la propria testa. Sono tutti incapaci di mettersi in discussione e di considerare seriamente gli argomenti portati avanti dall'accusato, che comunque sostiene di agire per il bene dello stesso esercito. I dialoghi, poi, sono disseminati di riuscite battutine ironiche sulla chiusura mentale di questi individui.
Gary Cooper era già collaudato in personaggi simili (Mezzogiorno di Fuoco, La Fonte Meravigliosa), che evidentemente gli andavano a genio, e anche qui dà un'interpretazione convincente e ricca di sfumature. Di sicuro rilievo è anche quella di Rod Steiger, che riesce a dar forma ad un pubblico ministero decisamente antipatico e tagliente (comunque le sue arringhe è meglio ascoltarle in lingua originale). Pure Ralph Bellamy, che nelle commedie anni '30 interpretava il fidanzato un po' tonto e troppo attaccato a mammà, se la cava bene e finisce per comunicare simpatia e un vago umorismo anche in questo contesto drammatico.
E' un film appassionante e suscettibile di molte riflessioni su concetti come autorità, obbedienza e coscienza. Ricorda vagamente "Il principe di Homburg" di Heinrich von Kleist. Non posso dire di più perché finirei per anticipare il finale, che non si riesce ad indovinare finché non lo si vede.

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