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C'era una volta in America

Regia di Sergio Leone vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su C'era una volta in America

di noodless94
10 stelle

Eccomi, di nuovo a scrivere di C'era una volta in America, di nuovo a provare a spiegare con semplici parole le emozioni percepite durante le 4 ore e 11 minuti (3 ore e 36 minuti la versione ridotta) di questo immenso film. L'ennesima visione, come sempre capita, ha lasciato nuovi dubbi, nuove interpretazioni di momenti, immagini, sguardi, dialoghi.

C'era una volta in America è il film perfetto che Sergio Leone ci ha lasciato in dono, che costò al regista romano 13 anni di vita. Un processo lungo, difficile, a tratti impensabile, che lo portarono a concepire un'opera omnia, da tutti riconosciuta come una delle più grandi di tutti i tempi.

Dopo il successo della trilogia del dollaro, Leone, decise di tuffarsi in un'altra impresa, ancora più grande:

La trilogia del tempo, inaugurata da C'era una volta il West, proseguita con Giù la testa. Infine, a chiudere la trilogia, proprio C'era una volta in America. Ma quest'ultimo, a sorpresa, non sarebbe stato un western, marchio di fabbrica di Leone. No, sarebbe stato un gangster movie. L'idea era quella, ma estrapolarla dalla mente e portarla su carta era più complesso di quanto potesse sembrare. Mancava, nella mente del regista, un filo conduttore che potesse permettere lo sviluppo della trama. Dunque, cosa fare? Gli anni passavano, di Leone e il suo capolavoro nessuna traccia. Sembrava che la grande impresa non fosse alla portata del regista, che cominciasse a pensare a un'opera che non avrebbe mai preso vita. Tutto sembrava portare a nulla, fin quando tra le mani di Leone terminò un libro, ai più sconosciuto, il cui autore era altrettanto sconosciuto: The Hoods (1952) Harry Grey.

Grey non era Goethe, nè Pirandello e nemmeno Dante: egli era un semplice criminale che aveva deciso di raccontare la sua storia. A Leone, però, ciò fu più che sufficiente.

La scoperta del libro di Grey fu la scintilla necessaria affinchè Leone e i suoi collaboratori potessero cominciare a costruire la sceneggiatura del film (Grey, a onor di cronaca, morirà nel 1980, 4 anni prima dell'uscita di C'era una volta in America). 

«Quando scatta in me l'idea di un nuovo film ne vengo totalmente assorbito e vivo maniacalmente per quell'idea. Mangio e penso al film, cammino e penso al film, vado al cinema e non vedo il film ma vedo il mio...Non ho mai visto De Niro sul set ma sempre il mio Noodles. Sono certo di aver fatto con lui "C'era una volta il mio cinema", più che "C'era una volta in America »

Cominciò una lunga attesa, una lunga gestazione che portarono all'uscita del film. 1984: gli echi del mondo distopico di Orwell erano lontani, ignari che anni dopo sarebbe nato un reality show che avrebbe preso spunto proprio dal libro dello scrittore inglese: Il grande fratello.

C'era una volta in America era finalmente pronto! Le aspettative erano alte, soprattutto per il regista, convinto che il suo lavoro fosse finalmente compiuto (4 ore e 11 fu il risultato finale di un taglio netto: la versione completa, dunque prima dei tagli e delle scelte del regista era di 10 ore).

Oltre a Morricone, fedele compagno in tutti i film di Leone( compagni anche tra i banchi di scuola), attori di rilievo e future star facevano parte del cast del film: James Woods, Elizabeth McGovern, una piccola Jennifer Connely, Joe Pesci, Burt Young e Robert De Niro, che ai tempi vantava due oscar e numerosi parti di rilievo.

Tutto lasciava presagire un grande successo, di critica e di pubblico. Tutto, tranne le scelte del produttore film (apparso, tra l'altro, in un cameo, tagliato anch'esso in parte).

La lunghezza proibitiva del film, portò a un taglio, folle e insensato, di una parte fondamentale del film, così da poter essere adattato alle esigenze del pubblico statunitense (credo ci sia poco da commentare..).

Il film fu un fallimento: ovunque ottenne incassi sotto le aspettative, anche se registrò in Europa (dove venne trasmessa la versione di Leone) un risultato migliori rispetto al suolo stelle e striscie.

Tredici anni di lavoro in fumo, persi nel vento. C'era una volta in America, film sul quale Leone aveva speso un/quinto della sua vita, era stato un fallimento. La delusione fu enorme. Seguirono anni di silenzio, fino a quando, nel 1989, cinque anni dopo l'ultimo film, Leone morì, mentre stava progettando un film sulla battaglia di Stalingrado.

"Come in un gioco di scatole cinesi, diventa un sogno di sogni. La vicenda rievocata da Noodles si svolge in una dimensione incerta tra realtà e sogno, la stessa struttura narrativa originaria - in cui si scontrano di continuo diverse dimensioni e percezioni del tempo non autorizza a distinguere se la vicenda è frutto dei fumi dell'oppio o di ricordi reali del protagonista. Anche (e soprattutto) in questo caso la memoria del singolo tende a dissolversi in quella di un intero paese."

- Gian Piero Brunetta

Quando penso a C'era una volta in America, il primo collegamento che mi viene da fare è legato proprio al titolo, il quale mi ricorda una fiaba. Non una fiaba qualsiasi, dove il cattivo viene sconfitto e il finale è sempre "vissero tutti felici e contenti". No, è la fiaba della vita reale, crudele e dolorosa.

È la storia di Noodles, ma potrebbe essere benissimo la nostra.

Ma potrebbe essere anche la fine di qualcosa, in questo caso l'America vista dagli occhi di Leone: piena di contraddizioni, capace di cambiare pelle e volto più volte negli anni: dagli anni venti agli anni sessanta, quanto è cambiato il mondo in cui Leone è cresciuto? Tanto, tantissimo. È diverso, irriconoscibile, e col semplice titolo del film Leone vuole dirci questo: i luoghi e gli ideali che hanno segnato una generazione sono finiti, adesso il mondo è diverso, noi possiamo anche non farne più parte.

Non farne più parte, un po' come Noodles:

-Cos'hai fatto in tutti questi anni? (Fat Moe)

-Sono andato a letto presto. (Noodles)

E così gli occhi di Noodles, incapaci di guardare avanti, verso un futuro diverso da come se lo era immaginato, tornano indietro, a cercare immagini e ricordi di un passato lontano. Basta togliere una mattonella dal muro di uno squallido bagno, ed eccola: Deborah! giovane, bella, che balla in uno stanzino sulle note di Amapola (la versione del maestro Morricone), mentre due occhi giovani, timidi e innamorati la osservano in tutta la sua bellezza, mentre continuano a nascondersi temendo di essere scoperti. Un altro capitolo del film, l'amore. Disilluso, Noodles sa che prima poi dovrà scegliere tra Deborah o la sua vita, un gangster di strada. Sarà la stessa Deborah a dirglielo, durante una delle scene più toccanti del film:

-Egli è tutta una deliziosa, ma sarà sempre un teppista da due soldi e non sarà mai il mio diletto. Che peccato! (Deborah)

Nemmeno quando tutto sembra andare per il meglio, quando Noodles sembra aver scelto la strada che porta a Deborah, il suo amore, tutto ciò che ha desirato per tutta la vita, arriva la doccia fredda. Lui non potrà avere Deborah, non potrà sposarla, invecchiare con lei, avere dei figli e dei nipoti. La sua è una vita da gangster, dannata dalla prima volta che ha commesso un crimine. Non c'è redenzione per lui, non c'è via di scampo: quella è la sua vita, e lo sarà per sempre.

Ma se l'amore fugge via da Noodles, questo non si può dire per l'amicizia. Cresciuto in un gruppo di cui è il leader, Noodles conosce Max, ragazzo del Bronx che si è da poco trasferito nel suo quartiere. L'amicizia tra i due scoppia dal primo momento, alimentata dall'odio verso le forze dell'ordine, nemici dei piccoli gangster.

La loro è un'amicizia solida, che dura anche durante la prigionia di Noodles. Ma ogni amicizia, è fatta di interessi: Max ha interessi differenti da Noodles, il quale continua a inseguire Deborah.

Nè soldi, nè donne, nè politica, potranno dividerci, cantava Riccardo Cocciante in quegli anni. Ma è la frase Homo Hominis Lupus(la natura umana è fondamentalmente egoistica),che spiega il motivo della rottura tra Noodles e Max, arrivata a cavallo del 1933 (anno fondamentale del 900' statunitense tra fine del protezionismo e New Deal). I sogni di uno si scontrano con l'ostinazione dell'altro. Come Caino e Abele, Max e Noodles lottano tra di loro, sapendo che uno di loro dovrà essere sconfitto per permettere all'altro di continuare a vivere. Ed è Max a continuare a vivere, mentre Noodles, sconfitto, decide di fuggire, nascondesi da tutti: dalle persone, dal mondo, dalla vita.

Il 1968 è il punto di chiusura di tutta la storia. Lo sfondo in cui Noodles cerca le risposte che risalgono a 35 anni prima è un'America nuova, diversa in tutto e per tutto: il Vietnam, i movimenti a favore delle persone di colore, la nuova musica, sottofondo ideale degli anni tumultuosi di fine 60'. In questa nuova America, Noodles e Max si rincontrano. I due, non più giovani e prorompenti come un tempo, si ritrovano per la resa dei conti definitiva. Tutti i precedenti film di Leone si erano conclusi con lo scontro finale: duelli, trielli, erano i modi in cui Leone arrivava al punto fatale e concludeva la storia. Erano la vendetta e la brama dell'oro a far estrarre il più velocemente possibile la pistola dalla fondina, nel tentativo di uccidere prima di essere uccisi. Ma Max e Noodles non sono più due gangster, non sanno più sparare. Noodles non cerca vendetta, non cerca nemmeno soldi. Cerca solo di scoprire la realtà, i misteri che da 35 anni sono senza risposta. Il loro è uno scontro che si gioca sui ricordi e sul passato. Ma è Noodles ad avere l'ultima carta da giocare. Ed è proprio quella che lo porta ad evitare un'insana vendetta, che ormai ha smesso di cercare da anni, ma che forse non ha mai desiderato avere. La scelta di Noodles è quella di tenersi il passato, i ricordi, i momenti felici con l'amico più caro, sapendo che il futuro è per lui intriso nell'oscurità e nell'ignoto. Noodles rifiuta la realtà, preferendo avvolgeesi tra i delicati ricordi di tempi lontani, di cui non può, e non vuole, disfarsi. No, a lui il passato serve più di ogni altra cosa: per proteggersi dal futuro e per avere una via di scampo dalla monotonia della vita.

E così, alla fine, tutto termina dove ha avuto inizio: un vecchio teatro cinese dove Noodles spesso si reca per fumare. La scena finale è d'antonomasia: chiude il racconto, ma apre un'infinità di nuove possibili interpretazioni* sul film. L'inquadratura finale dall'alto, con Noodles, il suo sguardo perso nel suo vuoto e quel sorriso inaspettato che ci lascia senza parole, che ci trasmette uno dei primi sinceri sorrisi di felicità di tutto il film, è tra le immagini più emblematiche e belle della storia del cinema.

 

*La teoria del sogno, quella secondo cui Noodles, sotto effetto della droga, abbia immaginato il suo futuro. 

Mi sono sempre trovato contrario a questa interpretazione. Ho sempre preferito credere che il film raccontasse la vita reale di Noodles, che tutto ciò che vediamo sia vero e successo realmente. Crudelmente ho accettato l'interpretazione più dolorosa, crudele ma reale del film. La vita di un gangster, dannata, in cerca di pace, ma che per quanto ci provi non ci riesca a ottenere ciò che realmente vuole.

 

-In chiusura

Una menzione a parte va fatta per la struttura della trama, composta da numerosi salti temporali, sia in avanti che indietro nel tempo. L'utilizzo sapiente di questa tecnica rende il film ancora più malinconico e drammatico. Tra gli anni 20' e gli anni 60', Leone si muove abilmente, ispirandosi al più grande libro di un importante autore: "Alla ricerca del tempo perduto" di Marcel Proust. Resta tutt'oggi incomprensibile il taglio di un'ora e mezza di film concepita dal produttore come un'operazione dovuta a fini del successo di pubblico e d'incassi. Tuttavia, per nostra fortuna, il film è stato rivalutato, ed è sempre inserito nelle posizioni più alte dei film migliori di sempre. 

 

scena

C'era una volta in America (1984): scena

 

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