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Il mio uomo è una canaglia

Regia di Ivan Passer vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il mio uomo è una canaglia

di rocky85
7 stelle

“Born to Win” (nato per vincere) recita con molto sarcasmo il titolo originale, molto migliore di quello dato dalla produzione italiana. “Born to Win” recita anche il tatuaggio sul braccio di J. (George Segal), ex parrucchiere divorziato e tossicodipendente che vivacchia a Manhattan tra truffe e furti vari, cercando denaro per procurarsi l’eroina della quale è ormai schiavo. Ha un amico, il nero Billy, con il quale va girando in cerca di droga, e una donna appena conosciuta, Parm (Karen Black), che vorrebbe aiutarlo. Dopo un furto andato male, dovrà districarsi tra due sbirri ostinati ed un boss senza scrupoli per farla franca. Ivan Passer, regista ceco emigrato negli Stati Uniti, realizza un bel ritratto dei bassifondi newyorkesi senza essere melodrammatico ma utilizzando l’ironia, l’umorismo ed il grottesco. La parabola di J., perdente da manuale nonostante il tatuaggio reciti il contrario e nonostante lui si consideri “un simpaticone, uno che sa sempre come fare, in ogni caso”, è seguita con affetto e simpatia pur mantenendo una vena triste e malinconica. Ed è soprattutto grazie all’interpretazione di un bravissimo George Segal, di irresistibile simpatia e carica vitale, che il film stempera la drammaticità di un tema delicato come quello della dipendenza dall’eroina, con un piglio dinamico e momenti di tenerezza. Certo, c’è qualche caduta di ritmo e qualche difetto tipico del cinema americano degli anni Settanta, ma questo “Born to Win” resta un oggetto raro e che merita sicuramente di essere visto, non fosse altro che per l’originalità della messa in scena e per le prove degli interpreti (tra i quali, oltre all’ottimo Segal, attore di punta dei Seventees ma sparito dalla circolazione dopo una fase calante negli anni Ottanta, spiccano anche la dolce Karen Black ed un giovanissimo Robert De Niro nel ruolo di uno dei due sbirri). Amaro e realistico, "Born to Win" si trasforma in un atto di accusa contro una città alienante che mette da parte gli ultimi della società, relegandoli a maschere grottesche alle quali restano solo le briciole. Il finale sospeso non fa che aumentare un senso di tristezza ed incertezza per un futuro sempre più in bilico: "E se fosse una bucata di fuoco?" "Di che ti preoccupi, tu sei nato per vincere no?"

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