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Ombre bianche

Regia di Nicholas Ray vedi scheda film

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La recensione su Ombre bianche

di alan smithee
5 stelle

NICK'S MOVIES

La storia di un popolo letteralmente confinato agli estremi del mondo, ci viene raccontata in questa costosa e sin eccessivamente sfarzosa e ridondante coproduzione italiano-americana girata in 70 millimetri, attraverso la drammatica vicenda del nativo cacciatore eschimese bonario ed impacciato Inuk che, poco per volta, riesce a vincere timidezza e ingenuità per trovare una moglie (oltre che una suocera) e, con la nuova famiglia appresso, si troverà ad affrontare la venuta dell'uomo bianco, il passaggio complesso e devastante dall'arma bianca a quella a polvere da sparo, e l'avvento di nuove regole, morali e civili, che forzeranno le tribù e l'esperienza di Inuk verso scelte di vita dai risvolti tragici e destabilizzanti.

La storia in sé presenta grandi potenzialità, ed appare a tutti gli effetti davvero interessante, ma il film, prodotto da Maleno Malenotti e che vede tra gli sceneggiatori anche il nostro Franco Solinas e Baccio Bandini, si perde nella sin troppa attenzione alla cura delle scenografie, spesso ricostruite in interni con grandi sforzi e risultati ormai inevitabilmente goffi allo sguardo del nuovo millennio.   

Per non parlare dell'ingenuità sin disarmante in cui si traduce uno studio antropologico di fatto anche accurato riferito nel film a proposito della cultura eschimese: il particolare del popolo artico di esprimersi in terza persona, la malizia del chiamare "ridere" l'atto amoroso, si traducono in scelte e dialoghi costruiti attraverso ridicolaggini maliziose che creano quasi imbarazzo.

Inuk, ingenuo ed impacciato oltre ogni immaginazione, è interpretato assai goffamente da Anthony Quinn, imbarazzante tra taglio di capelli e faccia perennemente da allocco, ingaggiato in nome di una scelta divistica fisicamente forse anche coerente; di fatto quella del celebre attivissimo attore in questo film, non rientra certo tra le sue interpretazioni memorabili, anzi tutto il contrario. 

Tracce personali di direzione di un autore di massimo rango come Nicholas Ray ne traspaiono poche davvero, ed il film rientra tra le prove davvero più impersonali e trascurabili annoverabili nella carriera di prima grandezza del grande cineasta.

 

 

 

 
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