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La Divina Commedia

Regia di Manoel de Oliveira vedi scheda film

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La recensione su La Divina Commedia

di Aquilant
8 stelle

Favola visionaria sugli sconcerti dell’esistenza che ci mostra in una scioccante sequenza iniziale due redivivi Adamo ed Eva in rigoroso costume adamitico nell’atto di replicare per un’ipotetica platea il fatidico gesto di ribellione all’autorità divina, tra scoppi improvvisi di un temporale che sembra voler immediatamente richiamare la coppia ad un’irriverente condizione di nudità, divenuta all’improvviso demistificante e peccaminosa. Intesa come dialettica di contrari, in bilico tra fede e ragione, tra spiritualismo e materialismo, questa “Divina commedia” possiede di dantesco solamente il titolo ed assume piuttosto il carattere di un’opera dilaniata da una realtà immanente alla nostra condizione umana, di un catartico itinerario esegetico allo scopo di vagliare la labilità del confine tra genio e la pazzia, tra verità e menzogna, tra sanità e malattia, tra sogno e realtà. Lontana anni luce da visionari deliri solipsistici di sapore bunueliano in virtù del suo estremo rigore stilistico, ci presenta piuttosto una dissacrazione effettuata in punta di penna nel pieno rispetto di una religiosità la cui bandiera é tenuta alta dal visionario “Messia” e dal fideistico “Profeta”, quest’ ultimo in perenne contrasto con la squallida figura dell’agnostico “Filosofo”, personificazione di un tardo illuminismo di pretto stampo prevaricatore. Sfilano in tal modo davanti ai nostri occhi in una bizzarra sequela di deliranti dialoghi e monologhi tra sacro e profano gli stravaganti personaggi presenti nella “Casa de Alienados”: oltre a quelli già citati l’immalinconito “Adamo” con la sua “Eva” pervasa da sensi di colpa (che poi si trasformerà in una castissima “Santa Teresa” onde espiare il suo peccato originale), l’allucinato “Raskolnikov” con la sinuosa “Sonia”, novelli protagonisti di “Delitto e castigo”, lo stralunato “Lazzaro”, il loquace“Ivan” col fratello “Alioscia Karamazov” e il “Direttore della casa”, forse il più deviato dell’intera compagnia. Su questo ideale canovaccio di personaggi sgangherati si snodano dialoghi e monologhi di un fascino primordiale per la delizia dello spettatore: estratti a ruota libera dalla Bibbia, Dostoevskij e Nietsche che restano impressi indelebilmente nella mente. “Cos’è l’arte paragonata alle altre opere di Dio? un effimero orgoglio” (il Profeta). “La natura ha creato l’uomo e la donna perché si uniscano nella natura sublime dell’amore” (il Filosofo) “La fede non é un’illusione ma é l’unico aiuto per spiegare la vita” (il Profeta). Il saggio De Oliveira questa volta ci propone una commedia della vita che si presenta ai nostri occhi con un incedere solenne, a dimostrazione di come si possa fare del cinema di cultura dissertando e filosofando sui grandi temi dell’esistenza tramite l’immissione forzata dello spettatore nei meandri labirintici della psiche umana alla ricerca di una verità oggettiva, anche se la frase che chiude il film: “ciò che piace agli uomini non può piacere a Dio” riporta ogni cosa al punto di partenza. Ma d’altra parte il dissacrante verdetto della colomba é indiscutibile perché ci fa capire che non esiste filosofia al mondo in grado di farci pervenire alla scoperta della realtà ontologica se non per fede.

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