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L'evaso

Regia di Pierre Granier-Deferre vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su L'evaso

di hupp2000
10 stelle

Da un romanzo di Georges Simenon, un film perfetto con due immensi Simone Signoret e Alain Delon.

Ancora un adattamento da un romanzo di Georges Simenon e, come ogni volta, una sceneggiatura che non fa una piega. Altrettanto sicura è la regia di Pierre Granier-Deferre, indiscutibile professionista della macchia da presa, abituato a dirigere la crema attoriale del cinema francese dagli anni ’60 agli ’80. Mi riferisco a figure del calibro di Philippe Noiret, Jean Rochefort, Michel Piccoli, Lino Ventura, solo per citarne alcuni. Qui, si trova alle prese con due mostri sacri come Simone Signoret e Alain Delon, entrambi impegnati in una prestazione di altissimo livello.

 

Jean, evaso dopo cinque anni di galera, trova rifugio presso la fattoria di Tati, la non più giovane vedova Couderc del titolo originale, della cui proprietà vogliono ad ogni costo riappropriarsi la cognata Françoise e il marito Désiré. Questi ultimi hanno una figlia, Félicie, ragazza-madre di sedici anni, che cede al fascino di Jean, suscitando prima la gelosia poi la rassegnazione di Tati. Il tutto precipita quando, scoperta la verità sull’identità di Jean, Françoise e Désiré lo denunciano alle autorità. Finale tragico, con l’assalto delle forze dell’ordine alla fattoria e l’uccisione della coppia.

 

Prima del suo amaro epilogo, la vicenda ci ha immersi con ammirevole realismo nella condizione rurale francese degli anni ’30, con la genuinità e le meschinerie della vita di provincia. Basti pensare alla scritta “La casa del Signore non è per gli Ebrei”, che campeggia sulla fiancata della chiesa del paese! L’ospitalità concessa dalla vedova ad un giovane sconosciuto è immediatamente oggetto di pettegolezzi e sospetti, l’avidità di Françoise e Désiré è senza freni, la maternità dell’ingenua e sempliciotta Félicie è oggetto delle più gratuite e vili maldicenze. Quest’ultimo personaggio ha il volto e l’ancora acerba bellezza di Ottavia Piccolo, spontanea e convincente oltre ogni immaginazione. Tutto intorno, si respira un’aria di campagna d’altri tempi, con gli animali che ho la fortuna di allevare ancora in questo XXI secolo (mucche a parte), le coltivazioni e il lavoro che tutto questo comporta.

 

Una grandissima prova di regia è data dalla dura e concitatissima sequenza finale, con il tentativo di fuga di Jean attraverso i campi, il ritorno in extremis alla fattoria e il conclusivo massacro. Una scena paragonabile ai disperati epiloghi di due capolavori quali “Joss il professionista” di Georges Lautner (1981) e “Un mondo perfetto” di Clint Eastwood (1993).

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