Regia di Ricky Tognazzi vedi scheda film
Un buon film di mafia, veloce, che si mantiene in sufficiente equilibrio tra denuncia, suspense, spettacolarità, pathos.
Il merito maggiore sta nella ricostruzione fedele della solitudine degli addetti seri alla giustizia, quelli degni di tal nome, non corrotti, nonché del loro inevitabile isolamento rispetto ad un contesto lavorativo marcio e corrotto, appunto.
Non è fiction, o non è solo fiction: è storia. Che è resa possibile soltanto dagli opportunismi di molti, e dall’ambizione individualistica di altri, miranti al potere, di cui quello politico è sempre il più promettente.
Tognazzi figlio mostra bene la conseguenza della serietà nel servizio dello stato: il rischio di pagare in prima persona, o con la vita o con la carriera che viene pesantemente compromessa. La sconfitta dello stato, la sconfitta dei giusti, e la vittoria dei violenti e dei disonesti, è un classico della storia “terzomondista” italiana e non solo, avallata dagli elettori, gli unici che potrebbero davvero cambiare le cose e far invece, finalmente ed a sorpresa, trionfare i giusti.
Ottimo il cast, tra cui svettano i caratteristi classici del genere (Sperandeo, Amendola….), ma soprattutto Carlo Cecchi, nella parte del giudice integerrimo, e Leo Gullotta, in quella del viscido, laido, falso, corrotto e venduto funzionario della giustizia.
L’angoscia pervade credibilmente tutto: talpe, minacce da sconosciuti, lettere intimidatorie, telefonate minatorie, attentati sempre dietro l’angolo. L’intelligenza declinata scientificamente nel depistaggio e nell’insabbiamento, sin nei massimi palazzi del potere e di qui in giù, è ritratta benissimo.
Effettivamente il film mostra la vita quotidiana da parte degli agenti della scorta: un’esistenza che quasi non si può vivere per tanti anni, tanto è psicologicamente usurante. Tratto da una storia vera, il film si fa apprezzare anche per il continuo rimando alla vita quotidiana di queste persone, ai loro affetti. Proprio lì, dentro la lotta portata avanti tutti i giorni, si coglie la differenza fra la coscienza di chi spalleggia il crimine per interesse personale, e chi invece, in tragico isolamento, non può che avversarlo, se non vuole vivere male. Nella altrettanto tragica consapevolezza che i premi materiali, che aiutano a vivere meglio per tanti aspetti (ma che non sono sufficienti per vivere davvero bene) sono dispensati per i criminali e i loro colpevoli, molto meno per i loro nemici.
Splendida la colonna sonora di Morricone. Il ’92 era l’anno dei martirii di Falcone e Borsellino: da allora, anche grazie al berlusconismo ma non solo, si è perso tantissimo di quella tensione morale che invece questo film testimonia, anche se qualcuno (per quanto isolatissimo) è rimasto, a prendere il testimone di quei grandi benefattori
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