Film Cult: Moonrise Kingdom di Wes Anderson

Chi ha visto Paterson di Jim Jarmusch ed è familiare con l’universo di Wes Anderson non avrà potuto non riconoscerli: sull’autobus guidato da Adam Driver/Paterson, seduti in fondo, compaiono Sam e Suzy, o meglio Jared Gilman e Kara Hayward, ancora insieme come in un fulmineo sequel di Moonrise Kingdom.

Parlano, serissimi, di Gaetano Bresci, l’uccisore di re Umberto I; non proprio il primo argomento che verrebbe in mente pensando a due adolescenti americani del terzo millennio. Forse un po’ di anarchia è rimasta loro addosso da quella fuga d’amore sull’isola di New Penzance: Sam e Suzy, ribelli pre-sessantottini, nel film di Anderson non arrivano a uccidere l’autorità, ma rifiutano la logica di famiglie (biologiche e adottive), servizi sociali, truppe scout e poliziotti, per fondare il loro personale regno della luna nascente.

Come tanti, quasi tutti i personaggi di Anderson, la realtà per loro è un luogo ostile e inaffrontabile; meglio fuggire, crearsi la propria patria putativa (la Rushmore Academy di Max Fischer, la nave Belafonte di Steve Zissou, il Grand Budapest Hotel di Zero & Gustave), diventare gli eroi di una storia che nessuno pensava di raccontare. Così Sam e Suzy, piccoli anarchici agguerriti, inventano per se stessi un mondo a misura della loro tenera insurrezione, e danzano sulle note di Françoise Hardy sulla spiaggia di un regno immaginario.

Il film