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L'ESPULSORE di Carlo Fusco. (2023)
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L’ESPULSORE di Carlo Fusco (2023)

 

Ladispoli 2015, un ragazzo di vent’anni muore all’interno di una casa privata: del tragico fatto, a distanza di otto anni, è emersa la verità processuale ma non la Verità.

Come scrisse Anton Cechov nei suoi Quaderni “si dice che la Verità trionfa sempre, ma questa non è una Verità”: ebbene il film dal titolo “L’Espulsore” sembra partire da questo assunto, per raccontare uno dei fatti della cronaca italica tra i più dolorosi e irrazionali nel nuovo millennio.

Il regista Carlo Fusco, avvalendosi della solida sceneggiatura di Ieva Lykos, scompone la vicenda su piani temporali diversi: le sequenze nella villetta del fattaccio e l’arrivo dei soccorsi si intersecano con le preoccupazioni dei genitori di Matteo e le ricostruzioni posticcie dei Vitale, creando uno scambio febbrile di emozioni ed interpretazioni che suscitano nello spettatore un misto tra rabbia e incredulità. Gli sguardi della famiglia Vitale rendono noi tutti, testimoni diretti dell’evento luttuoso, ma l’abilità tecnica della regia stende un velo in sospensione che trasforma la vicenda in indecifrabile, pur attenendosi in scrittura agli atti processuali del processo Vannini, a cui il film “L’Espulsore” fa riferimento diretto.

La cronaca: a Ladispoli in provincia di Roma, la mattina del 18 maggio 2015 muore Marco Vannini, ferito a morte da un colpo di pistola calibro 9 proprietà di Antonio Ciontoli, padre della fidanzata Martina. Gli atti del processo hanno sentenziato che, all’interno della villetta dei Ciontoli, erano presenti la moglie Marina, la figlia Martina fidanzata di Marco, il figlio Federico Ciontoli con la fidanzata Viola Giorgini. La notte del 17 maggio 2015 da casa Ciontoli partono due chiamate al 118, molto convulse e contradditorie, dalle cui registrazioni emergono significative le urla di dolore di Marco. Le sentenze della Cassazione condanneranno Antonio Ciontoli a 14 anni di reclusione, come colpevole di omicidio volontario e a 9 anni e 4 mesi ciascuno, la moglie Maria e i figli Federico e Martina, con la grave accusa che avrebbero potuto salvare Marco e non lo hanno fatto.

Nel film “L’Espulsore”, produzione indipendente Beskion Production, la messa in scena di Carlo Fusco e la scrittura di Ieva Lykos, dati processuali alla mano e senza mai scivolare nell’inchiesta giornalistica, consegnano un taglio originale e asimmetrico del procedere naturale dei fatti, cogliendo l’essenza di un omicidio senza motivo apparente, attraverso l’uso violento della macchina da presa, che schiaffeggia letteralmente i protagonisti del film, quasi a volerli destare dal torpore menzognero. Bugie miste a nichilismo sembrano corrompere le anime diaboliche dei Vitale, coesi nel procedere a protezione del proprio nucleo familiare ma totalmente a discapito del giovane Matteo. La ricostruzione in sceneggiatura dei momenti topici del dramma, trova magnifica sponda nelle prove di tutti gli attori in scena: di Elisa e del fratello Enrico si colgono i lati oscuri, la fidanzata Arianna cresce di tono nel corso dell’interrogatorio, Maria dapprima protettiva sembra crollare sotto il peso del rimorso, mentre Paride dopo aver ripetuto a lungo “se salta fuori questa storia perdo il lavoro”, trova il coraggio di dichiararsi ma non quello di rivelare tutta la verità. La mdp si placa solo quando accarezza Matteo Mancini e il suo viso di ragazzo tradito, concede rispetto alle urla di dolore dei genitori Lina e Pietro, conclude sparando in fronte al colpevole con un close up di grande effetto. Tirando le somme, i privilegi piccolo borghesi uniti alla negligenza diabolica, sembrano alla base della macchinazione che ha portato alla perdita della vita di un bravo ragazzo e al lutto disperato della sua famiglia.

Bella prova corale per il regista potentino, di cui abbiamo già scritto, che dimostra padronanza del mezzo e capacità nella direzione sia di attori alla prima esperienza che con professionalità affermata: su tutti Franco Vella e Alyssa Keta, padre e figlia nella finzione, per esser riusciti a trasmettere il senso di insensibilità e omertà che ha oscurato l’intera vicenda.  

 

In occasione della anticipata stampa del film L’Espulsore, abbiamo avuto la possibilità di rivolgere alcune domande al regista Carlo Fusco e alla sceneggiatrice Ieva Lykos.

 

La scelta dei volti mi è sembrata determinante, concorda? 

 

Carlo Fusco_ Scegliere il cast artistico per questo lungometraggio devo dire non è stato semplice. Da tempo non lavoravo con attori Italiani soprattutto giovani e la storia si prestava ad un racconto corale. I personaggi principali sono sei, potevo puntare sulla somiglianza fisica nella storia reale ma sarebbe stato un compromesso con le scelte più profondamente artistiche, quindi non ho badato a questo ma a chi poteva meglio interpretare il personaggio e avvicinarsi il più possibile alle caratteristiche psicologiche e comportamentali. Soprattutto della famiglia Vitale. Credo alla fine di aver fatto un buon lavoro sia di selezione che poi sul set.

 

La vicenda è estremamente dolorosa, le sensazioni sul set?

 

Carlo Fusco_ Durante le riprese del film ci sono dei momenti che mi sono rimasti impressi e devo dire che sono stato aiutato sia da una sceneggiatura scritta bene che da attori bravi che sono stati in grado di cogliere ciò che realmente volevo. In una scena gli attori erano talmente entrati nei personaggi che poi è stato difficile proseguire con la scena successiva. Per essere precisi è stato quando, al telefono con il 118, si mentiva spudoratamente mentre si sentivano le lamentele in sottofondo. Mentre giravo mi chiedevo: ma è possibile che degli esseri umani siano peggio delle bestie? Inevitabilmente la risposta è stata sì.

La BESKION Production è una piccola casa di produzione, di solito significa complicazioni.

Carlo Fusco_ Difficoltà nel girare il film. Beh le solite quando si decide di realizzare un film low budget, devi scontrarti con il tempo e le risorse economiche limitatissime, i pochi mezzi tecnici a disposizione e tutto il resto che se per caso gira male……….……qualcuno di importante ha scritto che girare nelle difficoltà ha creato capolavori, spero abbia ragione! Progetti per il futuro ne ho tanti, stiamo scrivendo una storia sulla dipendenza dall’alcool e uno sulla n’drangheta, vediamo come andrà a finire, per il momento mi godo L’Espulsore, con l’augurio che giri a lungo sugli schermi.

 

La cronaca come fonte di ispirazione?


Ieva Lykos_ I fatti di cronaca attirano spesso il mio interesse e penso che questa storia sia una di quelle mi ha segnato di più. Ho sempre pensato che ne sarebbe venuto fuori un buon film in quanto la narrazione gode di un conflitto crescente, tensione scandita da menzogne, turbe psichiche e dolore. Da un lato l'innocenza e la buona fede di un giovane ragazzo innocente, dall'altro gli antagonisti, che entrano nella categoria del classico personaggio villano che non smette mai di stupire, deludendo le aspettative del pubblico. Succedono tante cose in un brevissimo lasso di tempo e questo è molto importante per la storia di un film. Ho accettato di scrivere il film perché questo è il mio lavoro, scrivo sceneggiature e sapevo che avrei avuto una grossa responsabilità nel non contaminare gravemente ciò che è emerso in fase processuale, così come ho dovuto fare anche nella mia sceneggiatura "L'ultimo codice" ispirato al caso di cronaca di Joseph Fritzl o nel girare il documentario storico su Salvatore Giuliano.    

 

Fatti e immaginazione?.

 

Ieva Lykos_ Per scrivere questa sceneggiatura erano due le strade: una era quella di prendere soltanto spunto dall'accaduto e dare una linea diversa ai personaggi e alle vicende, l'altra era quella di rifarmi quasi completamente al realmente accaduto, perlomeno per quanto si evince dagli atti e dai vari racconti in aula. Ho deciso per la seconda, anche se la mia libertà nell'atto creativo viene un po’ a mancare in quanto centinaia di pagine di sentenze, decine di ore d'intercettazioni, vari servizi d'inchiesta sono un reale vincolo. In piena sintonia con il regista, mi è sembrato fosse più giusto optare per i fatti riportati nelle carte processuali, in quanto nessuno deve dimenticare che questa triste storia, realmente accaduta, potrebbe succedere a chiunque. Quello che ho messo di mio è stata la struttura della sceneggiatura che non rispetta fedelmente la cronologia degli eventi, la creazione di dialoghi, soprattutto tra i protagonisti dell’omicidio che, ovviamente, non potevo sapere che cosa si fossero detti mentre si organizzavano tardando i soccorsi. Per questo, ho dovuto studiare molto le dinamiche tra loro, i loro lati psicologici e le sudditanze emerse dagli interrogatori, il tutto in accento romano e traslocate in Sicilia, la terra nel quale il film è stato girato per motivi logistici e di budget.

 

Quali personaggi l’hanno impegnata di più nella scrittura?


Ieva Lykos_ Tutti i personaggi sono stati difficili da scrivere, soprattutto i Vitale che, anche se uniti dallo scopo comune del salvarsi la pelle, hanno modi di fare diversi. Tra tutti i personaggi, quello che mi ha suscitato maggiore curiosità è stata Arianna, la fidanzata di Enrico. Mi sono dovuta concentrare molto su di lei, dagli atti risultava quasi ignara della gravità dell'accaduto e nelle deposizioni verbali si mostrava troppo fiduciosa delle azioni del capo famiglia. Percorrendo attimo per attimo la vicenda, era un po’ come se mi ci trovassi in quella casa, convincendomi sempre di più che Viola Giorgini, la fidanzata di Federico Ciontoli, non poteva non avere capito la gravità di ciò che era successo. Per scrivere personaggi lineari e credibili, che siano immaginari o meno, ho bisogno di logica e credibilità nelle loro azioni e intenti, nel caso di Arianna sono venute a mancare e quindi, per evitare equivoci, la dovevo fare uscire di scena. Non ho gli strumenti per rifare il processo e mi voglio fidare delle valutazioni dei giudici, ma dare un senso compiuto al personaggio della fidanzata di Enrico, è stato molto complicato. Per natura non mi piacciono le cose facili e scrivere di questo personaggio apparentemente marginale ed ambiguo, mi ha spronato ad approfondire per meglio ricordare.

 

Lu Abusivo.

 

 

 

 

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