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Carlo Luglio: Intervista esclusiva
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In giro per l’Italia, tra le varie anteprime speciali, è possibile vedere Il ladro di cardellini, con protagonista Nando Paone. La storia narra di un manipolo di sconclusionati cardellari, intenti a mettere in atto una truffa senza precedenti: un camuffo che varrà loro una fortuna qualora il colpo riesca. Il camuffo consiste nello scambiare normalissimi cardellini, dipinti di bianco, con rarissimi cardellini bianchi (nel film, si dice che ogni cardellino bianco valga la bellezza di 5 mila euro). Poiché la caccia ai cardellini in Italia è proibita, il colpo porta con sé rischi e pericoli, come sa bene Pasquale, oramai ex guardia forestale, che viene coinvolto nell’organizzazione mentre la sua vita privata va incontro a cambiamenti inaspettati: la vecchiaia che incombe, una figlia desiderosa di agguantare il successo, un matrimonio combinato con una rumena, una prima moglie da dover dimenticare, la passione per le slot machines da accantonare e gli effetti di un primo infarto da dover gestire.

A dirigere il dramedy è Carlo Luglio, autore napoletano il cui nome non è nuovo a chi è avvezzo di circuiti festivalieri e di produzioni impegnate. Oltre a essere regista e sceneggiatore, Luglio è anche co-fondatore della Bronx Film, casa di produzione che nell’asfittico panorama italiano ha fatto dell’autorialità il suo marchio di fabbrica. Con il regista abbiamo parlato del suo film, di cosa significhi uscire in sala in tempi di coronavirus e delle difficoltà che incontra un’opera come la sua, non facilmente etichettabile, nel trovare l’avallo dei festival.

Curiosamente, il film è proposto al pubblico con un finale “modificato” rispetto a quello originario, da questo particolare siamo partiti per la nostra conversazione. Qui, trovate la recensione: Il ladro di cardellini - Recensione.

Nando Paone, Carlo Luglio

Il ladro di cardellini (2020): Nando Paone, Carlo Luglio

 

Io ho visto un finale senza voice over. So che invece la versione diffusa avrà una voce fuori campo a chiarire la conclusione. Perché questa scelta? Temevi che il pubblico non capisse?

Non solo il pubblico. Si è trattato di una scelta quasi condizionata. Più persone di estrazioni e culture diverse non comprendevano perché nel finale non vi fosse un riscatto di Pasquale nel liberare gli uccelli e dunque mi sono arreso nell'essere più didascalico approfittando di un suggerimento di una mia cara amica scrittrice.

Purtroppo, oramai il cinema italiano ci ha abituati alla didascalia, al piatto servito, e non siamo capaci di andare oltre.

Già. Il mio interesse era chiaramente avvicinarmi il più possibile alla gente che vedrà il film nelle arene durante il corso dell’estate o nelle sale a settembre, qualora l’emergenza Covid non ci costringa a un altro lockdown. Con grosso rammarico, devo sottolineare come il film sia stato quasi bistrattato dall’organizzazione dei festival a cui l’ho proposto: forse non è troppo autoriale, per come lo intendono loro, e per via della leggerezza dei toni lo hanno catalogato come commedia, sottovalutando l’aspetto tragico dell’intera vicenda. Molta critica, vedendo che si tratta di una commedia, ha avuto dei pregiudizi e non ha nemmeno visto il film non parlandone nemmeno. C’è anche chi, di fronte ai complimenti per un cast strepitoso, ha preferito altri titoli al mio. Come se poi gli autori debbano essere sempre legati a un certo tipo di cinema. Io stesso non sono scevro da opere più impegnate, come Sotto la stessa luna, ambientato in un campo rom. Eppure tutti continuano a dirmi che Il ladro di cardellini è un film da festival e non solo un’opera di intrattenimento.

O Radici, il documentario su Enzo Gragnaniello.

Radici aveva più un impatto antropologico mentre Sotto la stessa luna era un’opera di denuncia, che parlava del degrado della periferia. Adesso sto lavorando a un progetto su Casal Bruciato e sulla vicenda della casa popolare assegnata alla famiglia rom che ha causato la rivolta della gente. Ciò però non vieta di fare intrattenimento anche con argomenti forti e tosti.

Che dicano a te di non fare film impegnati è quasi un paradosso, dal momento che sei anche uno dei fondatori di Bronx Film, già Figli del Bronx, casa di produzione che ha dato alla luce opere come Là-bas e che ha contribuito al successo della serie Gomorra. Anche Il ladro di cardellini porta la firma di Bronx Film.

E lo stesso dicasi del documentario a cui sto finendo di lavorare, L’ultimo fuorilegge, la storia del cantautore napoletano Pino Mauro, re della sceneggiata, che il grande pubblico conosce anche grazie ad Ammore e malavita dei Manetti.

Personalmente, conosco Pino Mauro da quando ero bambino. Lo ascoltava mio nonno in un periodo in cui la musica napoletana, ben distante dalla neomelodica di oggi, arrivava anche a Palermo ed era considerata migliore di quella leggera italiana. Ho davanti agli occhi l’immagine di lui sulla copertina di una musicassetta, vestito con una sorta di smoking bianco e un papillon nero.

Il tipico look che era solito adottare. E che nel mio documentario porta ancora: indossa un completo di lino bianco.

Da dove nasce l’idea della storia di Pasquale Cardinale e della banda di cardellari?

È conseguenza quasi diretta di un documentario che ho realizzato insieme a Romano Montesarchio, Cardilli addolorati, in cui si racconta di un “mestiere” divenuto ordinario nel sud dell’Italia. Lo si è visto in diversi festival (tra cui quello di Torino) e sulle tv satellitari. Ebbe anche diversi riconoscimenti e premi non solo per il suo taglio quasi pasoliniano ma anche perché, soprattutto, faceva ridere. Colpito dal fatto che questa realtà così dolente facesse ridere, ho maturato l’idea di scrivere una sceneggiatura incentrata sull’argomento, già pronta nel 2014. Nel 2018 con Diego Olivares abbiamo rimesso mano alla storia diverse volte, dando forza anche ai personaggi secondari: prima era una commedia, poi è diventato un film drammatico e alla fine si è trasformata nell’ibrido che è oggi. Ho girato nel 2019 ma il Covid ci ha costretti ad aspettare fino a oggi per presentarlo al pubblico. Che gestazione travagliata ma sono stato confortato dall’aiuto di professionisti di ottimo livello, da Anzovino per le musiche a Olivares per la sceneggiatura, passando per le canzoni di Canio Loguercio. Qui rivendico però un merito: in sceneggiatura non c’erano canzoni ma io ne ho scelto alcune delle sue e le ho riadattate per i miei attori. Viviana Cangiano fa la cantante ma Lino Musella o Nando Paone no: eppure hanno cantato quelle canzoni che erano pertinenti a ciò che stava succedendo nella storia. E, sempre a proposito di canzoni che non erano dapprima in sceneggiatura, ho aggiunto anche Lu cardillo, canzone di un anonimo del Settecento ricantata da Pino Mauro, che restituisce il senso di tutto il film, quella parte un po’ amara e malinconica.

Nando Paone, Carlo Luglio

Il ladro di cardellini (2020): Nando Paone, Carlo Luglio

 

Ha sin da subito scelto gli attori che volevi? Nando Paone è superlativo con il suo personaggio: è quasi un Totò 2.0.

Nel 2017, quando abbiamo concretamente cominciato a pensare alla realizzazione del film, ho scelto gli attori con cui avrei poi lavorato. Ho ottenuto tutti quelli che volevo. Solo con due caratteristi molto bravi, che avrei voluto per due ruoli minori, non siamo riusciti a raggiungere un accordo, Roberto Del Gaudio (che ha fatto L’equilibrio, il film di Marra) e Alfonso Santagata. A eccezione di loro due, tutti quelli che ho scelto allora sono quelli che poi sono stati confermati. Nella scelta ha avuto un peso fondamentale ciò che sono solito fare: andare a teatro e osservare gli attori in scena. Il cast di Il ladro di cardellini è sì cinematografico ma anche avvezzo ai palcoscenici teatrali: è stato fondamentale per me avere degli attori che avessero entrambe le esperienze. Lino Musella, Giovanni Ludeno (attore fantastico che sarebbe stato il protagonista se solo Pasquale fosse stato più giovane), Tonino Taiuti, tutti attori che avevo visto a teatro. Così Gigi De Luca ed Enzo Romano, esponenti del teatro popolare napoletano. Ernesto Mahieux, ovviamente, era una certezza vista molte volte al cinema. Con Pino Mauro ho anche girato un documentario. Nonostante qualcuno sollevasse dubbi sulla loro impronta teatrale o sul poco appeal a livello nazionale, io non ho mai avuto dubbi: sapevo cosa dovevo fare e cosa erano in grado di fare. Come tu hai colto, ogni personaggio sembra ritagliato addosso all’attore che lo interpreta.

La bravura degli attori consiste nel non far scivolare mai i loro personaggi nel ridicolo. Ogni gesto è misurato, non va mai oltre le righe sebbene ogni personaggio sia sopra le righe. Mimica e prossemica sono gli elementi con cui giocano e a cui fortunatamente non soccombono. Ci sono sequenze d’insieme che sono coreografiche e in cui ognuno occupa un proprio spazio senza invadere quello dell’altro.

Mimica e prossemica sono stati importanti. Essendo, soprattutto i più anziani, attori teatrali, si è dovuto molto lavorare sui gesti e sulla gestualità. Noi napoletani siamo abituati ad accentuare con le mani e le braccia tutto ciò che già diciamo con il linguaggio verbale. Ho dovuto spesso e volentieri far mettere le mani in tasca agli attori. Al di là di ciò, ho anche cercato di creare delle camminate che fossero particolari per Nando Paone o per Pino Mauro (soprattutto quando per la prima volta si reca da Palatone, il personaggio di Taiuti), gongolante per Mauro, tutto baldanzoso, e stralunata, quasi da burattino, per Paone. En plein air, nelle scene corali, i cardellari si muovono come un’armata Brancaleone, una banda di soldatini quasi in marcia. Il tutto, ovviamente, accompagnato dalle musiche realizzate appositamente per il film da Remo Anzovino. Nulla è lasciato al caso: dalla costruzione scenica alle inquadrature, ai costumi di Daniela Salernitano (che ben tratteggiavano ogni personaggio).

Nonostante l’ambientazione sia napoletana, non scegli mai di nominare dove avvengono le vicende. Perché questa scelta?

Un’umanità arcaica come la loro non ha bisogno di connotazioni spazio-temporali. A parte una scena in cui si vede uno smartphone o quella in cui dentro al tabacchi si sente una radio parlare di calcio, non ci sono nemmeno riferimenti temporali che fanno capire quando sta avvenendo il tutto. Volevo dare una sorta di atemporalità o, con una parola grossa, eternità alla storia: il film può essere visto in qualsiasi senza apparire mai datato. Anche i miei due precedenti film di finzione, Capo nord e Sotto la stessa luna, avevano la stessa peculiarità. Idem per i luoghi: non amo le connotazioni, è un sud del mondo. L’arte di arrangiarsi, per fortuna o purtroppo, è peculiare a tutti i popoli del sud: pugliesi, campani, siciliani. La realtà dei cardellari non appartiene solo a Napoli: come hai scritto tu, i casi di cronaca ci raccontano episodi provenienti da diverse città, a partire da Palermo. Non ho potuto non tenere conto della cronaca. Avendo già fatto un documentario sull’argomento, ho avuto modo di conoscere quell’universo da vicino e di venire a conoscenza del camuffo, l’operazione con cui si dipingono dei comunissimi cardellini di bianco per averne altri bianchi di pregio e ricavarne soldi. Ecco la ragione per cui ho scelto un tono iper realistico, stralunato e surreale, per il film: dovevo allontanarmi dall’aspetto documentaristico, cercando di rimanere sul filo del rasoio e di non cadere nel macchiettistico.

Equilibrio che mantieni anche nella sottotrama legata al matrimonio di convenienza del protagonista con una rumena.

Qualcuno mi ha accusato di maschilismo. Sono stato criticato da una persona a me vicina che ha ravvisato nella situazione quel maschilismo latino per cui si usano le donne solo per un proprio tornaconto. Mi sembra però che nel mio film accada invece l’esatto contrario, che sia la donna a usare l’uomo per ottenere un vantaggio. Non sottovalutiamo poi come il tutto debba essere contestualizzato: esistono certe realtà, come quelle dei cardellari o dei contadini, in cui il matrimonio o il fidanzamento con le donne dell’Est è dettato da tutto fuorché dall’amore. Sarà maschilista ma rappresenta ciò che accade veramente.

Io non ci vedo del maschilismo, ad esempio. Alla base del matrimonio c’è un accordo ben specifico. Ognuno è consapevole del proprio ruolo e di ciò che ne guadagnerà, rumena compresa. Sarebbe maschilismo o tratta se la rumena non conoscesse il destino che, sulla carta, l’aspetta. Non dimentichiamo che la relazione tra i due assume tutt’altra connotazione. Stai semplicemente raccontando uno spaccato di vita, una realtà rielaborata.

Fortunatamente il pubblico ha reagito bene finora. Abbiamo avuto delle ottime reazioni qui al sud dove è stato proiettato in sale e arene. Vediamo un po’ cosa succederà quando il film arriverà anche al nord: il 19 agosto lo presenterò a Milano, dove ritornerò il 7 settembre prima di andare a Torino l’8. Sono curioso di capire se questo misunderstanding sarà limitato al meridione o no. Minerva Pictures ha venduto già il film all’estero, lasciando a Bronx il compito di piazzarlo in Italia. C’erano delle opportunità di distribuzione ma il coronavirus ha rimescolato tutte le carte, lasciando a noi il compito di curare personalmente ogni presentazione e il tour per le arene (e gli eventuali drive in). Vista l’accoglienza straordinaria, ogni serata registra il tutto esaurito, si spera nell’uscita in sala, prima nei cinema campani e poi nel resto d’Italia.

Racconti di Napoli con colori accesi, vivi.

Mi sono rifatto, con le dovute proporzioni, all’iconografia di Aki Kaurismäki. Mi piace l’alternanza di luci calde e luci fredde, con spicchi di paesaggio. Mi sarebbe piaciuto entrare di più in quegli spazi apparentemente marginali e periferici in grado di creare calore nell’umanità dolente rappresentata nei suoi film. Avrei voluto renderli mediterranei e ci sono riuscito in parte. Della scenografia, ad esempio, non sono del tutto soddisfatto: avrei voluto contrasti di colore e di arredi ancora più accentuati o particolari.

Nando Paone, Carlo Luglio

Il ladro di cardellini (2020): Nando Paone, Carlo Luglio

 

Il ladro di cardellini affronta diversi temi come la libertà e il senso di identità, usando il volo come metafora. Nonostante non si parli esplicitamente dell’oggi, mi ha colpito come alcuni personaggi siano più interessati all’apparire che all’essere. Penso soprattutto a Grazia, la figlia del protagonista, ma anche alla moglie del tabaccaio interpretato da Mahieux.

È un altro specchio di quella realtà già profetizzata da Pasolini negli anni Settanta: anche il sottoproletariato si è oramai omologato al capitalismo selvaggio, al consumo. Sia Grazia, italiana, sia l’altra, rumena, riflettono in modo caricaturale l’omologazione al consumo, implicitamente presente anche nel manager della giovane. Manca, invece, in Strato, impersonato da Lino Musella (già visto in Favolacce nei panni di colui che è il motore di tutta la tragedia): con il suo essere svampito è un rappresentante di quell’umanità ancora genuina, un po’ come Pasquale. Tant’è vero che poi si ritrovano, paradossalmente, a dormire insieme nello stesso letto. Sono tutti e due il rovescio della stessa medaglia: Strato è uno sfaccendato con un suo mondo interiore che si scopre solo alla fine, Pasquale invece è legato a un passato che lo tiene interiormente chiuso in una gabbia. L’altro tema fondamentale, che si evince tramite la figura di Mimì il chimico, è quello della pozione magica che rende tutti immuni dalla vecchiaia, questa vecchiaia che incombe su ognuno di loro e che è tratteggiata in maniera malinconica più da Pasquale che dagli altri. L’esorcizzazione della vecchiaia è un po’ il leitmotiv del film.

Io ho avuto l’impressione che tutti i personaggi siano in realtà soli, ai margini della società e ognuno borderline per motivi diversi.

Questo è poco ma sicuro. È proprio per questa ragione che esorcizzano la morte sia con le pillole sia con la voglia di catturare gli uccellini. Sono tutti soli per ragioni disparate a cominciare da Nando (legato al ricordo della moglie) per finire con gli “Strato di Grazia” (dedita al consumismo lei e alla realizzazione artistica lui), passando per gli Attanasio e Palatone. Sebbene siano un gruppo, i cardellari sono tanti satelliti separati.

Il film è dedicato al giornalista Fabrizio Forquet.

Fabrizio era un mio caro amico, nonostante strade professionali e visioni del mondo differenti. Vicedirettore nazionale del quotidiano Il Sole 24 ore, è venuto a mancare a 48 anni all’improvviso. Ciò mi ha profondamente segnato. Ho voluto dedicargli il film non solo perché era un amico ma anche per ricordare a tutti noi di darci una mossa quando vogliamo realizzare qualcosa nella vita perché da un momento all’altro può accadere di tutto.

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Pietro Cerniglia.

©2020 Mondadori Media S.p.A. – Riproduzione riservata

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