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ATLANTA – Black Lives
di Andrea Fornasiero
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Donald Glover è sceneggiatore di Altanta (qui la nostra scheda) insieme al fratello, inoltre ne è interprete principale e a volte anche regista, e dice di aver voluto mostrare con la serie cosa significa vivere da neri in America. Racconta così di piccole truffe, piccoli traffici di erba e altre miserie quotidiane tra i quartieri black di Atlanta, dove l’unica via d’uscita sembra essere l’hip hop. Al tempo stesso però a suo cugino, in arte Paper Boi, che potrebbe sfondare come musicista, è richiesto di essere fedele alla strada e alle sue logiche, in una sorta di circolo vizioso che chiude dunque ogni spiraglio di fuga. A meno che non si accetti di accantonare la propria cultura fino magari al punto di vederla ridotta a materia di paternalistico studio da parte di qualche bianco borghese e danaroso. Come accade in uno degli episodi migliori della serie, il nono, ambientato durante la festa del giorno della liberazione dalla schiavitù (ossia il 19 giugno, noto anche come Juneteenth), quando Earn e la sua (ex)compagna Vanessa si recano a un party in una villa, dove cercano di farsi passare per una coppia di successo e assistono, con crescente stupore e fastidio, a una raffica di stereotipi sulla cultura nera americana. La puntata è la sola diretta dalla costumista Janicza Bravo e anche per questo ha un’estetica sensibilmente diversa dalle altre, con inquadrature più lunghe che seguono il muoversi dei personaggi durante la festa.

Ma ogni episodio di Atlanta ha le sue specificità sia nel raccontare la vita ordinaria dei protagonisti, sia nel concentrarsi su più piccole e specifiche situazioni dai risvolti spesso quasi surreali. La puntata ambientata in un club, dove Paper Boi è invitato come ospite, è per esempio spiazzante per tutti e tre i personaggi principali, ma soprattutto per Earn che insegue, per farsi pagare, lo sfuggente manager del club, il quale si serve persino di un passaggio segreto! E a ciò si aggiunga che nel corso dell’episodio si parla più volte di un’auto invisibile, come se fosse una possibilità reale.

Colpo di pistola

Atlanta è quindi una comedy che racconta la realtà da una prospettiva leggermente fuori registro, caricando situazioni ordinarie fino a renderle assurde ed esilaranti, ma sempre trattandole con serietà, come fossero verosimili. Del resto la serie si apre con un faccia a faccia tra Paper Boi e un altro tizio dove per un nonnulla si passa alle armi da fuoco: se una cosa del genere è drammaticamente credibile allora perché non dovrebbe esserlo un piccolo manager che sfugge ai creditori con un passaggio segreto? Di certo ha conseguenze meno tragiche e viene trattato in modo meno assurdo di Paper Boi che, per avere sparato e ferito una persona, è considerato un OG, un Original Gangster, e dunque guadagna una Street Cred(ibility) che magnifica la sua fortuna discografica. Quando tutto ciò appare più o meno plausibile ecco che gli elementi surreali possono entrare nel continuum della serie senza risultare come corpi estranei.

Ci sono comunque eccezioni al principio di verosimiglianza: su tutte la puntata ambientata durante lo show Montague, diretta dallo stesso Donald Glover e del tutto assurda nel mettere a confronto Paper Boi, un’attivista dei diritti trans e un uomo che si definisce trans-razziale: è nero ma sente di essere bianco e come tale si comporta risultando del tutto ridicolo. Ne viene un crescendo di paradossi su questioni identitarie e di correttezza politica che smontano pezzo a pezzo l’idea di una società post-razziale.

Un esperimento di successo

Il registro quasi indefinibile tra commedia e allegoria surreale, così come il gusto marcato per episodi compatti o addirittura sperimentali (oltre a quello meta-televisivo ce n’è uno con una partita di basket cui partecipa Justin Bieber, che qui però è nero!), avvicinano Atlanta a serie come Girls o Louie, dominate da una forte identità autoriale. Donald Glover però non parla di un americano bianco di mezz’età né tantomeno ambienta la serie tra gli hipster di New York e sceglie invece la povertà della Georgia, che è persino meno cool di quella delle gang di Baltimora in The Wire, dove per lo meno c’erano scampoli di epica gangster. La vita di Earn è spesso miserabile, in particolare nell’ultimo episodio, ma pure in altre puntate, per esempio quando cerca di vendere il suo cellulare per fare qualche soldo oppure quando prova a essere galante ma scopre che il ristorante, consigliatogli da un amico, è molto più caro del previsto.

Tutto questo è visto come la peste in Tv, eppure Atlanta ha fatto ottimi ascolti ed è stato prontamente rinnovato per la seconda stagione. Una serie per certi versi affine come Insecure (che non è una pessima comedy, a scanso di equivoci), in onda su HBO e dedicata alle disavventure professionali e sentimentali di una giovane donna nera, al confronto di Atlanta risulta timidissima. Insecure non rinuncia infatti a situazioni convenzionali come le storie di letto (che ci sono anche in Atlanta, dove però sono private di ogni enfasi) e tende a raccontare abbienti alto-borghesi anche se la protagonista non ne fa parte. Atlanta poi si mangia in un sol boccone Insecure persino sul fronte femminile: l’episodio dedicato a Vanessa che esce con un’amica e poi cerca di superare un test antidroga al lavoro, supera per originalità, finezza e pregnanza l’intera stagione di Insecure.

Donald Glover ha messo a frutto il suo background di musicista per la notevole colonna sonora della serie e ha affrontato la sua prima stagione senza curarsi del rinnovo, giocandosi il tutto per tutto: una scommessa che ha conquistato pubblico e critica. Ora gli resta solo la sfida che tocca a tutti coloro che fanno qualcosa di unico, quella contro se stessi, perché Atlanta è qui per restare.

 

Qui tutti gli articoli della rubrica CoseSerie.

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