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Il vocabolario dei sentimenti - Speranza (6)
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 C’è uno strano culto che riguarda la mia generazione: è il culto de Il Re Leone. Molti di noi sarebbero capaci di trascorrere giornate intere a vederlo e rivederlo. Sarà forse perché rappresenta meravigliosamente la nostra infanzia (noi degli anni novanta siamo cresciuti con una delle Disney migliori di sempre), chissà. A volte me lo sono chiesto perché ci piaccia così tanto. Una volta, era una di quelle sere d’estate in cui non sai mai cosa inventarti per ammazzare il tempo, ero insieme ad alcuni miei amici, i miei soliti amici con cui mi spartisco il sonno; a Marta chiesi per quale motivo fosse devota al Re Leone. E lo chiesi pure ad Antonio, a Luigi e a non mi ricordo chi altro. Solo Marta mi ha fatto capire il perché, e il perché sta nel finale. Quando qualche personaggio di un film, qualunque esso sia, guarda il cielo nel finale, con gli occhi leggermente chiusi e il sorriso smarrito, sulle note di una colonna sonora magari enfatica ma efficace, c’è sempre qualcosa di bello che si muove. La cosa bella che si avverte nel finale de Il Re Leone è la speranza del futuro. Marta sostiene che dopo tutto il dolore scorso lungo l’intero film (che è una tragedia shakespeariana sul senso di colpa, sull’ambizione e sul percorso verso la maturità), quel finale, sì prevedibile, ma terribilmente liberatorio, è quanto di più giusto si possa concepire. Nelle Terre del Branco torna la luce, smette di piovere incessantemente, il fuoco si spegne: Scar, il geloso e spietato fratello dell’indimenticato re Mufasa, è morto, e con lui è morto il regime delle iene e della crudeltà. È morto dopo uno scontro con il nipote Simba, tornato a casa dopo anni di esilio (suggerito proprio dal terribile zio). Il leone si ricongiunge con la madre perduta, ritrova l’amore giovanile in Nala, si riabbraccia con la vecchia scimmia Rafiki. Simba ruggisce dalla Rupe dei Re, riconquista il trono usurpato dal padre, la Savana rivede dopo tanto tempo il fulgore dei raggi del sole non più nascosto, la brillantezza del verde non più arido, il cristallino splendore del cielo non più cupo. Gli animali sono in festa, soffia un vento placido. E arriva il nuovo erede, la futura regina della Savana. Ecco perché ci piace Il Re Leone. Non so spiegarlo bene. So solo che quando vedo quei due minuti mi commuovo, perché è la speranza che si fa verbo. Speranza che non ci sia un altro Scar. E anche, da vecchio scout quale sono, che chi viene al mondo lo lasci un po’ migliore di come l’ha trovato.

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