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Il cinepanettone: non lo mangiamo più!
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C’era una volta la coppia Boldi – De Sica. Non è dato sapere dove si conobbero ma, dicono i bene informati, fu amore a prima vista. Li unì in matrimonio un produttore dalla vista lungimirante e con un raffinato senso dell’estetica: i due infatti avevano una caratteristica particolare, quella di produrre incassi che – assieme – raddoppiavano a palate.

Anche perché, diciamo la verità, erano tempi che il denaro girava. Sì, girava: dalla tasca tua, alla mia, dalla mia alla sua, dalla sua a quella di Aurelio De Laurentiis, da quella di Aurelio De Laurentiis a quelle di Boldi e De Sica. E così si chiudeva il cerchio della vita.

Oggi invece «non esiste più la via di mezzo. C’è la gente che ha tutto e quella che non ha più niente» è l'amaro commento, in  Capitalism - a love story di Michael Moore, del proprietario di un’abitazione, appartenente alla vecchia middle-class, che attende l’arrivo degli ufficiali giudiziari che gli notificheranno lo sfratto per morosità.

Il denaro non circola, se non all’interno di una cerchia mooolto ristretta. E noi che ristretti non siamo, ma anzi piuttosto allargati? «Voi siete la generazione dei tre niente: niente lavoro, niente reddito, niente risorse», dice il redivivo Gordon Gekko in Wall Street – il denaro non dorme mai, mentre nel 1987 il suo slogan era «L’avidità è giusta». Col tempo le opinioni possono cambiare.

Quando le prospettive c’erano, il cinema si poteva permettere di produrre film come Yuppies, interpretato dalla coppia Boldi – De Sica, con l’innesto di Greggio e di altri similar-simpatici della tv.

Oggi, invece, che la finanza creativa ha esaurito tutti i desideri concessi e la magia non funziona più, il Paese si avvita in una spirale recessiva senza fine, ci  chiediamo – è ancora giusto e legittimo mangiare il cinepanettone e bere lo spumante a Natale? Non sarebbe meglio tenersi più leggeri e, magari, mangiare un brodino di pollo che – sarà meno piacevole – ma nutre di più?

Di cosa ci dovremmo nutrire? Di cultura, ad esempio. Perché è vero che i soldi sono finiti, ma non per tutti, soltanto per il 95 per cento della popolazione. Ma questo 95 per cento, che numericamente avrebbe la possibilità di sovvertire democraticamente le sorti economiche del Paese, preferisce distrarsi, soprattutto a Natale. D’accordo che bastano le altre trecentosessantaquattro giornate dell’anno per piangere, ma mica per Natale devono continuare ad arricchirsi sempre gli stessi.

E poi non si tratta soltanto di soldi. Si tratta di cervelli in fuga. Non solo quelli dei giovani senza speranza e nullatenenti, ma anche i nostri cervelli, quelli che pur restando rinchiusi nei crani rischiano di fuggire nel nulla, attraverso un processo lento e inarrestabile di evaporazione causato anche dalla prolungata esposizione a queste pellicole demenziali.

Sì, perché questo è quello che passa il governo (ogni riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale). E questo è quello che passa nelle sale e, dunque, la sbobba: o mangiamo questa minestra o saltiamo dalla finestra.

Si dirà: ma se questi film piacciono alla maggioranza degli italiani è giusto che la minoranza debba contestarli? Non vale la regola della democrazia? Non sono questi i film che mantengono viva, sebbene attaccata al respiratore artificiale, la vecchia e malandata industria cinematografica che un tempo duellava ad armi impari - ma a testa alta - con quella (sempre) più potente di Hollywood?

Non è giusto pensare che ciò che piace alla gran parte delle persone debba per forza piacere anche alla parte minore. Questa non è la democrazia, altrimenti per democrazia dovrebbe essere inculcato anche a noi (minoranza) il piacere di vedere i film che piacciono alla maggioranza degli spettatori. Non siamo tutti uguali, non piacciono a tutti le stesse cose, donne, fiori, frutta, città, animali, non vogliamo fare tutti lo stesso lavoro e non amiamo tutti lo stesso stile di vita, altrimenti non esisterebbero i mercati di nicchia, il volontariato, il collezionismo, la fedeltà, la monogamia. E non è neanche vero che ciò che istintivamente piace debba per forza essere giusto, altrimenti dovremmo pensare che sia giusto sfruttare, approfittare, soverchiare, accaparrare, prevaricare, e risistemare tutto a misura della nostra personale convenienza.

Il piacere e le scelte devono essere canalizzate. Se le Ferrari venissero vendute soltanto di colore giallo, gli appassionati di queste auto imparerebbero presto ad amare quel colore.

Alexis de Tocqueville, il liberale francese che approfondì le origini delle moderne democrazie nel suo saggio La democrazia in America, aveva già intuito i pericoli insiti nella delegazione del potere alla raccolta della semplice maggioranza dei voti e riteneva che, nelle società democratiche vi potesse essere il rischio della «tirannide della maggioranza».

Egli diceva: «Vedo chiaramente nell’ eguaglianza due tendenze: una che porta la mente umana verso nuove conquiste e l’ altra che la ridurrebbe volentieri a non pensare più. Se in luogo di tutte le varie potenze che impedirono o ritardarono lo slancio della ragione umana, i popoli democratici sostituissero il potere assoluto della maggioranza, il male non avrebbe fatto che cambiare carattere».

La sua preoccupazione era quella che la maggioranza potesse imporre la volontà generale in modo del tutto irrazionale, semplicemente in quanto tale. La sua paura non era infondata e prova ne furono le affermazioni dei regimi totalitari all’inizio del secolo scorso.

C'è anche una minoranza silenziosa perché é educata, ma che vuole più intelligenza, più arte e più cultura. Questa minoranza spera che la coppia Boldi – De Sica si ricomponga, perché è meglio un cinepanettone che due, perché verranno rinviati a gennaio meno film belli e interessanti, perché gli italiani comincino a pensare di più, a non farsi raccontare storie basate sul nulla e a comprendere lo stato nel quale si trovano, fregandosene dei gusti degli altri e pensando - come disse Benigni alla fine della riunione di condominio nel film Il mostro - «vaffanculo alla maggioranza».

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