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La nave dei sogni
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LA RECENSIONE

 Voto: 10/10

   “Sono trascorsi 84 anni. E ancora sento l'odore della vernice fresca. I servizi di porcellana non erano mai stati usati. Nessuno aveva mai dormito tra quelle lenzuola. Il Titanic era chiamato la nave dei sogni. E lo era, lo era davvero…”. Sono passati 15 anni ma quel sabato sera, 17 gennaio 1998, probabilmente non lo dimenticherò mai: non era la prima volta che andavo al cinema ma la visione di questo film, diretto da un allora a me sconosciuto James Cameron, cambiò radicalmente il mio rapporto con la Settima Arte. Definire “Titanic” solo una pellicola per me risulta estremamente riduttivo: fu un’esperienza totale, inebriante, di quelle che si prendono una parte di te e che ti accompagnano per il resto della vita. Ha ragione Mark Cousins nel suo ciclo di documentari "The Story of Film" (2011): il potere di un film come questo è anche quello di farci rivivere un evento che non abbiamo potuto vedere con i nostri occhi.   

 Fino a quel giorno in sala andavo una o due volte all’anno, non leggevo praticamente nulla di cinema, motivo per cui già i primissimi fotogrammi non potevano che essere di notevole impatto: la grande nave che molla gli ormeggi del porto di Southampton, in una sequenza sgranata e ingiallita come fosse d’epoca, seguita, come in una specie di ossimoro visivo, dalla superficie increspata dell’oceano, di un blu intenso e freddo. Ed è proprio nell’Atlantico, nei suoi fondali tra gli Stati Uniti e la vecchia Europa, che il regista accompagna lo spettatore nelle sequenze successive, svelando pian piano quello che si trovò davanti nel 1985 Robert D. Ballard, l’oceanografo che scoprì la posizione del relitto consegnando le prime immagini al mondo intero e rendendo probabilmente il transatlantico ancora più mitico: il Titanic si trova ancora lì, a quasi 4'000 metri di profondità, piuttosto ben conservato per essere trascorsi 85 anni, con il suo carico di vittime ma anche di reliquie e misteri.

   La storia dello sfortunato viaggio inaugurale del più grande oggetto mai costruito prima dall’uomo non può che partire (e terminare) laggiù, da ciò che resta del vero piroscafo, che quel geniaccio di Cameron ha immortalato utilizzando una cinepresa montata all’interno di un robot telecomandato, lo Snoop Dog, nell’arco di 12 immersioni effettuate nel 1995 (ricavando 12’ di pellicola per ciascuna).

   L’epopea del Titanic ci viene raccontata da una superstite, l’ultracentenaria Rose Calvert (un’intensissima Gloria Stuart, che sarebbe morta 12 anni dopo l’uscita del film), che, casualmente, riconosce in un reportage televisivo uno dei cimeli riportati in superficie dal relitto da una spedizione di cacciatori di fama e denaro, tra i quali Brock Lovett e Lewis Bodine (Bill Paxton e Lewis Abernathy rispettivamente): a questo punto del film noi spettatori siamo uno di loro, conosciamo la vicenda del transatlantico dall’esterno, un fatto di cronaca come tanti altri (per di più lontano nel tempo), ma senza averlo vissuto in prima persona. Ed è questa trasformazione che Cameron insegue: passare dalla visione dell’alacre Bodine nel descrivere l’animazione computerizzata della nave che cozza contro l’iceberg a quella emotiva dell’anziana. E scegliendo di anticipare tramite questo espediente tutte le fasi dell’affondamento non toglie nulla alla seconda parte del film, al contrario, permette un maggior coinvolgimento; il suddetto scopo del regista viene raggiunto appieno mediante le due porzioni principali della pellicola che costituiscono il racconto della Calvert. Per un’ora la mdp, oltre a farci conoscere i due protagonisti Rose DeWitt Bukater (Kate Winslet) e Jack Dawson (Leonardo DiCaprio), esplora la vita a bordo, accompagnandoci alle cene eleganti, alle partite a carte o alla sala fumatori di prima classe, scendendo, ponte dopo ponte, fino alle atmosfere più conviviali della terza classe, tra balli, fiumi di birra e cabine con letti a castello piuttosto spartani (anche se si diceva fossero ben più confortevoli rispetto alle corrispondenti di altri piroscafi).

   E ancora più giù, fino alle sale macchine: a tal proposito reputo magnifico la sequenza da “spot pubblicitario” (come definito dallo stesso Cameron) in cui il Titanic prende velocità in mare aperto alla guida di un fiero capitano Edward J. Smith (Bernard Hill), al suo ultimo viaggio, mostrando prima il cuore della nave, per poi riprenderla a volo d’uccello da prua a poppa.

   Dopotutto il transatlantico in quanto città galleggiante, microcosmo (ma mai tanto universale come in questa pellicola), a quel tempo era un simbolo da almeno due punti di vista: incarnava alla perfezione la società occidentale dell’epoca, con i suoi usi e costumi, la divisione in classi, ma per molti rappresentava pure il mezzo che avrebbe forse consentito di raggiungere un sogno (americano), una nuova vita. Dopo l’affondamento è divenuto pure il simbolo delle conseguenze della cieca fiducia dell’uomo nella tecnologia e della sua sfida alla Natura, nel momento storico in cui la Belle Epoque stava per sbiadire e lasciar posto al grigiore della Grande Guerra: non si tratta quindi solo di un grande affresco dell’inizio del XX secolo ma, con un’analisi a posteriori, è ancora una pellicola dalle tematiche attualissime.

   A proposito di sequenze migliori, oltre al tanto amato/odiato bacio sulla prua al tramonto, non posso non annoverare, in coda all’esecuzione del dipinto di Rose da parte di Jack (o meglio, di Cameron, dato che le mani che disegnano sono le sue), quella della dissolvenza del volto di K. Winslet in quello di G. Stuart, in una manciata di secondi quasi l’intera vita di una donna riflessa nei suoi occhi.

   Poi con l’avvistamento del fatale iceberg il tono della narrazione cambia profondamente e rapidamente (la scena della collisione dura nella pellicola 2 minuti o poco più, il doppio di quello che trascorse nella realtà): iniziamo così ad inalare l’orrore di un evento del genere. Per poterci strappare dal ritratto “cartolinesco” del mito e comprendere il dramma umano di tante persone, Cameron decide di ampliare l’intera parte dell’affondamento fino a circa la metà della durata reale (2h40), di privilegiare scene in esterni, facendo un ottimo uso degli effetti speciali, e di attenersi ai fatti reali.

   Può sembrare ovvio parlando di un cineasta meticoloso come Cameron, ma è raro un uso tanto studiato del digitale, “discreto” negli esiti e finalizzato esclusivamente alla narrazione. Niente a che vedere con i precedenti film (anche quelli validi sotto tanti altri punti di vista, su tutti “Titanic latitudine 41 nord”), nei quali il transatlantico sapeva tanto di modellino da rivista periodica in moto in una vasca da bagno. Questa differenza netta è stata possibile realizzando un modello quasi in scala 1:1 della nave in un bacino artificiale messicano e cercando di reperire una mole di materiale cartaceo e fotografico la più esaustiva possibile, inclusi i testi delle inchieste giudiziarie che sono seguite al disastro.

   E, ulteriore tassello di fondamentale importanza, grazie al ritrovamento del relitto nel 1985 è stato chiarito uno degli aspetti più controversi: il Titanic si era spezzato in due parti prima di affondare, come testimoniato da molti superstiti ma non dall’ufficiale di più alto grado sopravvissuto, C. H. Ligholler, la cui versione fu così presa per vera. Se si escludono le vicende dei protagonisti Winslet e Di Caprio, tutto è accurato e documentato, compresi alcuni nodi chiave della notte fra il 14 e 15 aprile non inseriti nel montaggio finale ma inclusi negli extra: due tra tutti, l’ultima comunicazione con il Californian (imbarcazione che ebbe un ruolo chiave, come accenno nella parte storica in coda a questa recensione) e il tentativo, rivelatosi vano, del capitano Smith di richiamare alla nave le scialuppe per riempirle.

   Non si può non accennare al lavoro di precisione svolto da decine di scenografi, arredatori, costumisti e truccatori, solo in apparenza più evidente nella prima metà del film: lo studio meticoloso di documenti e foto d’epoca ha consentito di raggiungere un risultato senza precedenti, dagli abiti rifiniti nei minimi dettagli fino alle posate con il logo della White Star forgiato sopra. Notevole nondimeno la colonna sonora firmata da James Horner, che a tutt’oggi, con 27,3 milioni di copie, è la soundtrack strumentale più venduta di sempre. Una curiosità: il primo trailer del film, quando l’uscita americana era ancora prevista per il 2 luglio del 1997, non era accompagnato da “My heart will go on” di Celine Dion, bensì da “Book of days” dell’irlandese Enya.

 

   E così si procede verso il finale: la tanto sospirata Statua della Libertà la vedranno solo in 700, tra cui Rose, che sotto la pioggia suggellerà “ufficialmente” l’unione con Jack. Dopotutto il caso è un altro tema ricorrente, nella finzione del film così come nella realtà: da quello che ha permesso a Jack di agguantare i biglietti o di incontrare Rose alla congiuntura che fa incrociare la rotta del Titanic con quella dell’iceberg o ancora ciò che separò la vita dalla morte. Così termina anche il racconto dell’anziana superstite, la quale non potrà che ricongiungersi, in un sogno che pare molto reale, al suo amato, in un epilogo da antologia nel quale tutti i passeggeri della nave rendono loro omaggio: dopotutto “nulla al mondo poteva dividerli".

Lo sfortunato transatlantico riposa, insieme alle sue vittime, sul fondo dell'Atlantico, ma nell'immaginario collettivo il suo viaggio non si è mai interrotto, approdando prima a New York, poi nella leggenda.

  

I voti di critica e pubblico

Pubblico: imdb 7,7/10 – metacritic 8,5/10 – rottentomatoes 3,3/5 (69%) – mymovies (IT) 4,42/5 – filmtv (IT) 7,7/10 – comingsoon.it 4,6/5 - allociné (F) 4,3/5 – sensacine (E) 4,2/5 – moviepilot (DE) 5,8/10 – kinopoisk (RU) 8,4/10 – mtime (CI) 8,9/10
Critica: metacritic 74/100 – rottentomatoes 8,0/10 (88%) – mymovies (IT) 4,25/5 – filmtv (IT) OTTIMO – ciak (IT) 4/5 – allociné (F) 4,9/5 – sensacine (E) 4,2/5 – moviepilot (DE) 6,9/10
Dizionari: maltin 3,5/4 – mereghetti 2,5/4 – morandini 3,5/5 – farinotti 3/5  

     

Alcuni numeri

DATE DI USCITA

Cinema USA: 19/12/1997

Cinema Italia: 16/1/1998

Home Video USA: 31/8/1999

 

Cinema 3D USA: 4/4/2012

Cinema 3D Italia: 6/4/2012

Home video 3D Italia: 13/9/2012

 

INCASSI

INCASSI ASSOLUTI

Nel mondo: 2.186.772.302 $ (2° posto, dopo “Avatar” e prima di "Star Wars: Episode VII")

In USA: 658.672.302 $ (3° posto, dopo "Star Wars: Episode VII" e “Avatar”)

In Gran Bretagna: 80.100.000 £ (5° posto, dopo "Avatar" e "Spectre")

In Italia: 71.100.000 € (1° posto, seguito da "Avatar" e "Quo vado?"[*] )     [*]incasso parziale Cinetel

 

INCASSI RIVALUTATI IN BASE ALL’INFLAZIONE o NUMERO SPETTATORI

Nel mondo (fonti diverse): 2.767.987.953 $ (3° posto), 2.805.989.777 (2° posto), 3.567.773.253 $ (1° posto)

In USA: 1.178.627.900 (5° posto, al primo “Via col vento”) [prezzo medio 2016 biglietto USA: 8,70 $]

In Italia: 13.707.000 SPETTATORI (12° posto; 1° dal 1973 ad oggi)

In Gran Bretagna: 110.000.000 £ [2° posto dal 1975 ad oggi; prezzo medio 2014 biglietto UK; fonte BFI]

In Francia: 21.774.181 SPETTATORI (1° posto)

 

ALTRI GUADAGNI

Introiti mondiali VHS/DVD: 1.200.000.000 $

Introiti USA - Riedizione 2012: 9.441.664 $ DVD, 6.936.057 $ BLU-RAY

Diritti TV USA (NBC/HBO): 55.000.000 $

 

BUDGET

Produzione: 200.000.000 $

Promozione pubblicitaria: 80/100.000.000 $

Riconversione 3D: 18.000.000 $

 

ASCOLTI TV ITALIA

Primo passaggio televisivo (2/4/2001): 12.343.000 – 51,83%

Ultimo passaggio televisivo (15/4/2012): 5.283.000 – 24,53% 

 

PREMI 

TOTALE: 109 PREMI + ALTRE 73 CANDIDATURE

 

ACADEMY AWARDS

Nominations: 14 (1° posto, ex-aequo con “Eva contro Eva”)

Statuette vinte: 11 (1° posto, ex-aequo con “Ben Hur” e "Il signore degli anelli - Il ritorno del re")

 

GOLDEN GLOBES

Nominations: 8

Statuette vinte: 4

 

BAFTA AWARDS

Nominations: 10

Statuette vinte: 0

 

BREVE STORIA DEL TITANIC

Titanic, Olympic e Britannic: la "Olympic Class" della White Star

   L’idea del Titanic venne nel 1907 a Joseph Bruce Ismay, numero uno della compagnia di navigazione inglese White Star Line, il quale, per battere la concorrente Cunard, decise di costruire una flotta di tre transatlantici molto più grandi e lussuosi dei precedenti.

   Le prime due navi gemelle, nell’estetica come nelle dimensioni (lunghezza 269,07 m, larghezza massima 28,20 m), furono realizzate quasi in contemporanea nei cantieri nordirlandesi della Harland & Wolff, a Belfast: l’Olympic, 16/12/1908, e il Titanic, 1/1/1909 (la terza sarebbe stata il Gigantic, poi ribattezzata Britannic, 30/11/1911). Ma visto che la sede principale della compagnia si trovava a Liverpool, furono registrati come piroscafi inglesi.

   Erano costituiti da 8 ponti, da A a G più il corridoio di fondo; presentavano inoltre i cosiddetti compartimenti stagni, che, se allagati, potevano essere isolati da paratie mobili e, nel caso non fossero più di quattro, permettere alla nave di rimanere ugualmente a galla. La differenza visibile più evidente fra i primi due transatlantici era che il Titanic aveva il ponte A per metà chiuso, di conseguenza possedeva una maggior stazza lorda, pari a 46'328 tonnellate (tale somiglianza ha fra l’altro ispirato un libro scritto da R. Gardiner e D. Van Der Vat, “I due Titanic”, dove si sostiene che quella notte fu l’Olympic a scontrarsi con l’iceberg e ad affondare, un complotto ordito dalla White Star per questioni di assicurazione).

   Il Titanic aveva un equipaggio di circa 900 persone e poteva trasportare fino a 2'435 passeggeri (735 in prima classe, 674 in seconda, 1'026 in terza), per un totale di oltre 3'300 persone. Sebbene il progettista avesse previsto inizialmente scialuppe di salvataggio sufficienti per tutti i passeggeri, la capienza finale si attestava a 1'178 posti: numero che era più alto del minimo stabilito per legge (norme che furono riviste proprio in seguito alla tragedia), che per navi superiori alle 10'000 t di stazza munite di paratie stagne imponeva di avere scialuppe con 960 posti.

   Ogni nave lasciava il porto inglese di Southampton il terzo mercoledì del mese a mezzogiorno, facendo due scali: la sera stessa a Cherbourg, Normandia (dove era in servizio l'SS Nomadic, di cui parlo in coda al post), la mattina successiva a Queenstown (Irlanda del sud, oggi Cobh), per affrontare poi la traversata atlantica e raggiungere New York all’alba del mercoledì successivo.

   L’Olympic, a pieno carico, partì per il suo viaggio inaugurale il 14/6/1911: in plancia Edward John Smith, comandante dal 1887 e commodoro della flotta della White Star. Per riparare i danni in seguito ad una collisione nel porto inglese all’inizio del suo quinto viaggio, l’Olympic venne riportato a Belfast ritardando l’ultimazione del Titanic e di conseguenza il suo viaggio inaugurale, previsto per il 20/3/1912 e spostato così al 10/4. L’Olympic (qui sotto davanti allo skyline di New York) riprese le traversate atlantiche a fine novembre del 1911 e avrebbe continuato il suo servizio fino al 1935, non solo superando indenne la Prima Guerra Mondiale (fatale per altri piroscafi come il Lusitania o lo stesso Britannic), ma entrando nella storia per essere l'unica nave mercantile ad aver affondato un sottomarino tedesco, da cui il soprannome "The Old Reliable". Fu demolito tra il 1935 e il 1937 a Jarrow, vicino Newcastle upon Tyne.

Il viaggio inaugurale  

Quando il Titanic mollò gli ormeggi alle ore 12 di mercoledì 10 aprile 1912, la nave gemella aveva appena attraccato al porto di New York, da cui sarebbe ripartita sabato 13.

   Nella primavera del 1912 uno sciopero dei minatori di carbone bloccava molte navi nei porti, e i passeggeri venivano dirottati su quelle che riuscivano a salpare: per questo motivo le prenotazioni nel complesso erano più basse del solito. Alla partenza a Southampton (ritardata di 1h per una collisione evitata di un soffio), oltre agli 892 membri dell’equipaggio, si imbarcarono  922 passeggeri (rimanevano quindi 1'513 posti liberi) e 568 t di merce. Allo scalo francese salirono altre 274 persone mentre in Irlanda 127 e ne sbarcarono 7: il transatlantico partì alla volta dell’America alle 13:30 dell’11 aprile con 1'316 passeggeri, per un totale di 2'208 persone a bordo. Per concludere la sua lunga carriera, il comando fu affidato a E. J. Smith, consegnando così la plancia dell’Olympic ad un “hergéiano” (ma probabilmente non nelle abitudini…) H. J. Haddock.

 

Domenica 14 aprile 1912: la collisione

Domenica 14 aprile erano accese tutte le 24 caldaie consentendo al Titanic di raggiungere una velocità di circa 21 nodi (39 km/h); il giorno seguente era prevista l’accensione anche delle 5 ausiliarie, con lo scopo di raggiungere New York già martedì sera. Secondo il regolamento doveva essere compiuta un’esercitazione con le scialuppe ogni domenica mattina ma quel giorno fu annullata per vento forte, che nel pomeriggio si calmò. L’inverno del 1912 era stato uno dei più miti di sempre e vi erano così molti più iceberg e molto più a sud: Smith scelse allora di spostare verso sud la navigazione anche rispetto alla consueta rotta utilizzata nei primi mesi dell’anno (la “Outward Southern Track”), anche se al momento dell’impatto la differenza era di appena 3/4 km. E infatti vennero ricevuti 6 avvisi iceberg nella sola giornata di domenica (anche se non tutti arrivarono al capitano, intercettati da sottoufficiali o dallo stesso Ismay, il solo rappresentante della White Star presente a bordo), gli ultimi due alle 21:40 e 22:30 quando Smith si era già ritirato per la notte. Inoltre alle 23:00 una nave mercantile, il Californian, provò ad inviare un secondo avvertimento ma fu bruscamente interrotto dai telegrafisti del Titanic, intenti a trasmettere messaggi privati.

   Ma, nonostante i numerosi avvisi come pure la particolare situazione meteorologica (leggera foschia, assenza di vento, senza considerare che la Luna era nuova) e l’assenza anche di un solo binocolo o cannocchiale, nessuno pensò di ridurre la velocità: in quel momento la nave copriva quasi 700 m al minuto. L’iceberg (in realtà di modeste dimensioni, la parte emersa aveva un’altezza di circa 15 m) venne avvistato alle 23:39, quando si trovava a meno di 500 m dalla prua: il primo ufficiale Murdoch decise di virare a sinistra, di invertire i motori e di azionare la chiusura automatica delle paratie stagne, ma in tali condizioni l’impatto, che causò fessure di pochi cm per 90 m sulla fiancata, fu inevitabile. In effetti se si fosse deciso di non virare ma solo di frenare prendendo l’iceberg frontalmente, il transatlantico avrebbe subito diversi danni al settore di prua (che in ogni caso è strutturalmente più resistente), ma molto probabilmente non sarebbe affondato. Forse anche in un secondo caso il suo destino sarebbe stato diverso: cercando sì di scartare l’ostacolo a sinistra ma senza invertire i motori, operazione che rallentò la virata.

   Alle 23:41 Smith era nuovamente sulla plancia. Mentre erano in corso le prime ispezioni, il transatlantico ripartì alle 23:47, ma dopo nemmeno un quarto d’ora dalla collisione c’erano già 4 metri d’acqua nei primi 5 compartimenti; si fermò definitivamente alle 23:59. L’ingegnere T. Andrews disse chiaramente a capitano e ufficiali che la nave sarebbe affondata. Il primo segnale di soccorso, l’SOS (entrato in funzione nel 1908, di più facile comprensione con i segnali Morse del precedente CQD), fu trasmesso a 0:15, dieci minuti dopo Smith ordinò di riempire le scialuppe; l’ultima fu calata alle 2:05. L’orchestra suonò fino all’ultimo, probabilmente concludendo con “Più vicino a te o Dio” oppure “Autunno”. I musicisti morirono insieme a Smith, Murdoch, Andrews, ma non Ismay, che in seguito fu processato.

 

L'affondamento  

 Il Titanic si inabissò alle 2:20 di lunedì 15 aprile, dopo essersi spezzato in due: fino al ritrovamento di Ballard nel 1985 si era creduto (e tutti i film pure) che fosse colato a picco integro. In questi concitati momenti il comportamento più assurdo di tutti fu senza dubbio che le lance non vennero calate in mare a pieno carico (le prime con soli 20/30 di passeggeri, pur essendo state collaudate per 65): furono così portate in salvo solo 711 persone (o 705, a seconda delle versioni) invece di 1’178.

   Tra tutte le scialuppe solo una tornò indietro, quella dell’ufficiale 28enne Lowe, che precedentemente ne aveva agganciate fra loro alcune per trasferire passeggeri e svuotare la propria. Dei 711 sopravvissuti, 203 erano di prima classe, 118 di seconda, 178 di terza, più 212 membri dell’equipaggio (ovvero 1 su 4 circa): in termini percentuali, in prima classe si salvò il 97% delle donne e il 33% degli uomini, in seconda l’86% e l’8% rispettivamente, in terza il 46% e il 16%. Il tasso totale di sopravvivenza fu del 32,3%; perirono tra le 1'497 e le 1'513 persone. Un disastro marittimo di tali proporzioni verrà superato soltanto nel 1980, quando un traghetto filippino urtò una nave cisterna provocando 4'375 vittime.

   Quasi una ventina furono le imbarcazioni che quella notte ricevettero l’SOS, incluso l’Olympic, che però si trovava a 750 miglia di distanza dalla gemella ferita a morte. A prestare i soccorsi fu la nave di linea della Cunard capitanata da Arthur H. Rostron, il Carpathia, che rispose alle 0:37 e invertì la rotta e a tutta velocità (17,5 nodi, tre in più rispetto a quella per cui era stato progettato) si diresse verso il Titanic, preparando durante il viaggio le scialuppe e invitando i propri passeggeri a rimanere in cabina per non intralciare le operazioni: ma si trovava a 58 miglia a S-E e arrivò sul posto solo alle 4 del mattino, oltre 1 ora e mezza dopo l’inabissamento. E’ invece da sempre parzialmente avvolta nel mistero la ragione per cui non rispose alla richiesta di aiuto il già citato Californian, che si trovava a sole 19,5 miglia dalla scena del disastro: avrebbe potuto raggiungere il piroscafo in un terzo del tempo impiegato dal Carpathia, ovvero ben prima delle 2:20.

 

 The day after: le inchieste e il cinema

   Due le inchieste che seguirono al naufragio: quella americana iniziò il 19 aprile e il rapporto finale fu presentato il 28 maggio; quella inglese, che vide la presenza in aula anche di Guglielmo Marconi, il 23 aprile per concludersi il 30 luglio 1912. Entrambe dichiaravano che la causa principale della tragedia era l’elevata velocità alla quale procedeva il Titanic, reputando negligente il capitano Smith. I ricorsi della White Star vennero respinti. Ismay, colui che diede il nome al transatlantico, morì in miseria nel 1937.

   Il cinema si occupò da subito del più famoso naufragio della Storia, realizzando in questi 100 anni innumerevoli opere, per il grande come per il piccolo schermo: sono del 1912 due cortometraggi, “Saved from the Titanic” e “In nacht und eis”. Era uscito appena l’anno prima il televisivo “Titanic”, con P. Gallagher e C. Zeta-Jones, quando sbarcò nei cinema l’omonimo di James Cameron. Ultime in data, due miniserie per il piccolo schermo ("Titanic" e "Titanic - Nascita di una leggenda").

 

 

SS NOMADIC (1911-oggi)

La sola nave della White Star Line ancora galleggiante è l’SS Nomadic, il tender dell’Olympic e del Titanic (e di molti altri piroscafi successivi) nel porto francese di Cherbourg. Varata il 25 aprile 1911 nei cantieri Harland&Wolff di Belfast, la nave a vapore lunga circa 70 metri, costruita con la medesima tecnologia e dipinta con la leggendaria livrea della compagnia britannica, dopo una lunga carriera fu trasformata, nell'ottobre del 1974, in ristorante ed ormeggiata lungo la Senna. Nel 2006 il Nomadic fu messo all'asta ed acquistato dal Northern Ireland Department for Social Development. Il restauro, costato circa 7 milioni di £, ha riportato la nave al suo antico splendore e dal 2013 è aperta al pubblico nel Titanic Quarter della capitale nord irlandese.  Come mostra l’immagine sopra, il tender appare anche in una scena del film di Cameron.

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