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We Are the Flesh

Regia di Emiliano Rocha Minter vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su We Are the Flesh

di alan smithee
7 stelle

L'apocalisse isola e rende sovrani di un angusto ambiente chi probabilmente in tempi normali ricopriva ruoli marginali se non parassitari. Il giovane cinesta Rocha Minter ci parla di deriva e perdizione, di riti esoterico-tribali che prevedono incesti e sgozzamenti sacrificali. Tra disgusto e talento cinefilo. .

Un qualcosa di apocalittico è accaduto nel mondo, e per sopravviere alla catastrofe Mariano ha trovato rifugio tra i sotterranei devastati di un palazzo, sotto i quali è riuscito a mettersi in comunicazione con una grotta sotterranea, sopravvivendo alla fame grazie ad non ben specificati intrugli di sostanze organiche e liquami di aspetto molto sinistro.

Quando in quel rifugio sopraggiungono anche, apparentemente per caso, due fratello e sorella, Lucio e Fauna, giovani, sui vent'anni, l'uomo li accoglie a patto che entrambi siano disposti a sottoporsi ad un rito misterioso.

Un cerimoniale che poco per volta mette in luce aspetti sempre più inquietanti e tribali, che spaziano da un appagamento sessuale senza vincoli né remore di parentela, a veri e propri sacrifici umani a danni di malcapitati.

Ad un certo punto l'appagamento di Mariano sarà tale da farlo stramazzare al suolo, apparentemente morto, salvo ricomparire più tardi sotto forma di bozzolo nuovo, ritornato a nuova vita a seguito di una sorta di patto demoniaco, reso possibile anche grazie all'impegno dei due fratelli, disposti ad ogni tipo di pratica incestuosa pur di mettere a punto il progetto satanico che ha praticamente ri-generato il loro "padrone di casa".

Questo è quanto ci pare di comprendere da un film enigmatico e volutamente carente di spiegazioni o chiarimenti, peraltro utilissimi. Una pellicola che urta, che vuole spiazzare prima ancora di raccontare, rendendoci partecipi di sentimenti ed umori animaleschi  e primordiali che rifuggono  ogni principio di civiltà e le abitudini di umana convivenza tra esseri viventi.

"Tenemos la carne", che porta la firma di un ambizioso e giovane regista al suo esordio (classe 1990), è un percorso allucinato verso una deriva che ci illude essere causata da un evento apocalittico, salvo poi svelarci le sue carte negli ultimi secondi prima di un epilogo che è tutto tranne una fine.

Un regista provocatore e coraggioso che non si nasconde davanti a nulla, né dal punto di vista del gore, con scene agghiaccianti di sgozzamenti e macellazioni di grande effetto realistico, nè tantomeno dal punto di vista della rappresentazione dei rapporti sessuali, forte com'è il film di insistiti dettagli di congiunzioni carnali, amplessi ben poco simulati, organi sessuali in evidenza che nulla lasciano alla libera interpretazione o alla fantasia.

Un rosso satanico pressoché costante caratterizza la fotografia che ci inserisce in un vero e proprio tunnel degli orrori, attraverso il quale ci si addentra in buchi che si aprono tra rocce come orifizi infernali ed allusivi.

Un non-luogo ove si annida la cattiveria che dà vita e rigenera chi a lei si abbandona, verso una nuova forma di esistenza che vive sulle esperienze e sulla pelle altrui in forma pressoché parassitaria, come un cancro che si rivela letale quando ormai è troppo tardi, illudendo l'ospite a entrare in un circolo vizioso in cui egli viene dominato, e poi sopraffatto, dal piacere.

Forse un pò troppo furbamente organizzato per stupire e far parlare di sé (anche nel male, basta che se ne parli), We are the flesh è tuttavia un film girato molto bene, con lunghe sequenze avvitate sui corpi in accoppiamento e sui visi alterati dei tre disturbati e disturbanti protagonisti, impegnati strenuamente in un progetto folle che solo loro intimamente conoscono, e di cui ci è concesso solo di seguirne le manifestazioni più eccessive e, in un certo senso, coreografiche.

Un film che può farsi amare (da pochi) e soprattutto odiare (da molti): personalmente evito sensazionalismi, non ci casco a considerarlo un cult, ma apprezzo un talento registico visionario e complesso che mi sembra caratterizzi il giovane cineasta, mentre resto sospettoso ed incerto sulla innegabile furbizia di fondo che muove il contesto dell'operazione.

Considero certo Emiliano Rocha Minter un giovane cinesta da tenere d'occhio con un certo interesse, considerato lo stile che dimostra, quasi ostenta, e che ben si inserisce in una tradizione messicana che da Reygadas in avanti, passando per Escalante, sta dando forza e vigore al cinema di un paese grande quasi come un continente e come tale piuttosto vivo e vitale, nonostante e forse anche paradossalmente grazie alle problematiche economico-sociali che lo caratterizzano.

 

 

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