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Christine

Regia di Antonio Campos vedi scheda film

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La recensione su Christine

di maurizio73
5 stelle

Biopic romanzato che punta all'inesorabile meccanismo drammaturgico di una inadeguatezza sociale e umana che rappresenti le prevedibili degenerazioni del sogno americano: un luogo di opportunità e di progresso che non tutti sembrano attrezzati per cogliere, fagocitandone la storia in un perverso gioco di spettacolarizzazione della memoria.

Christine è una giornalista televisiva meticolosa e impegnata, reduce da un brutto esaurimento nervoso e costretta a convivere con la madre separata in un piccola cittadina della Florida. Lo stress cui è sottoposta nell'ambiente di lavoro ed una rigidità caratteriale che le rende difficile qualsiasi relazione con gli altri, la condurranno ben presto a maturare l'insano proposito di un gesto estremo da attuare in diretta tv.

 

locandina

Christine (2016): locandina

 

Seguendo la personale inclinazione verso una poetica mortifera che indaga il disagio umano e sociale di personalità fragili e inadeguate alle prese con una incompatibilità ambientale destinata a segnare il loro tragico epilogo, il giovane regista newyorkese di origini italo-brasialiane Antonio Campos recupera la triste vicenda della giornalista americana Christine Chubbuck che il tam tam mediatico ed il florilegio di leggende metropolitane coltivate dalla rete sembra aver recuperato all'oblio di una memoria vintage, fatta di controversi resoconti biografici e contributi VHS smagnetizzati dal tempo. Atteso che il taglio di un minimalismo indie che ha a cuore l'attendibile replica di una ricostruzione d'ambiente che inquadra perfettamente una provincia americana alle prese con gli interessi commerciali delle emittenti private e le loro pulsioni sensazionalistiche, ne costituisce un indispensabile retroterra ideologico, l'idea portante di questo biopic romanzato sta' soprattutto nell'inesorabile meccanismo drammaturgico di una inadeguatezza sociale e umana che rappresenti le prevedibili degenerazioni del sogno americano: un luogo di opportunità e di progresso (economico, civile, sociale, tecnologico, culturale, etc.) che non tutti sembrano attrezzati per cogliere, abbandonando i più deboli al loro destino e, se possibile, fagocitandone vita, opere e persino la morte in un perverso gioco di spettacolarizzazione della memoria. Non si sottrae a questa logica nemmeno questo lodevole tentativo di caratterizzazione psicologica: la discesa agli inferi di una donna in carriera inevitabilmente fuori sincrono rispetto alle proprie aspettative di vita, ma anche rispetto alle proprie possibilità di adattamento; afflitta da una rigidità emotiva che la rende incapace di qualsiasi abilità empatica, come della necessaria flessibilità professionale ("Perchè non ridimensioni le tue aspettative? Magari puoi riadattare le tue idee [...] Non...non...non capisco la domanda.").
Ed è proprio su queste basi che Campos mette in scena gli ultimi giorni di vita di un personaggio in cui la complessità ed il mistero dell'esperienza individuale sembrano sacrificati sull'altare di una semplificazione che principia col piegare al proprio interesse la realtà dei fatti (l'ovaio da rimuovere che sarebbe stato invece rimosso, la mancanza di esperienze sentimentali e sessuali per una persona che ne aveva avute almeno un paio alla soglia dei 30 anni d'età) e finisce con l'utilizzarne alcuni risvolti in modo ambiguo e pretestuoso (il volontariato per i bambini disabili trasformato nella mise en scene di uno psicodramma individuale, il disagio psicologico della ragazza relegato, nella testimonianza reale della madre, alla sfera esclusivamente familiare), col tangibile risultato di una forzatura narrativa che rappresenti una sorta di tesi della predestinazione sociale da un lato e ne renda accettabile e comprensibile lo sconcertante epilogo dall'altro. Non ostante questo difetto di fondo il film ricrea bene, in astratto, una personalità borderline, aiutato dalla perfetta caratterizzazione di una credibile Rebecca Hall dal fascino adeguatamente mortificato e dagli intermezzi di contrappunti musical-televisivi quale colonna sonora di una solitudine umana di struggente partecipazione emotiva, tra i quali Love Is All Around che chiude magnificamente il film.
Resto del cast perfettamente in parte. Presentato in anteprima al Sundance Film Festival 2016 e premio a Rebecca Hall al Torino Film Festival 2016.


E Cristina se n'è andata
lei lavora in una radio
vive male e insoddisfatta
e capisce perché è sola
ma tutto quel che cerca e che vuole
è solamente amore...

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