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L'assassinio di Trotsky

Regia di Joseph Losey vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su L'assassinio di Trotsky

di hallorann
8 stelle

Una serie di foto e di didascalie ci illustrano le tappe salienti della vita di Lev  Trotzky: 1879, nascita; 1896, studente e rivoluzionario; 1900, primo arresto ed esilio in Siberia; 1907-1917, esule dalla Russia zarista; 1917, Lenin e Trozky capi della rivoluzione; 1918, fondatore dell’Armata rossa; 1929, esiliato da Stalin; 1932, esule senza fissa dimora.



1940. Città del Messico. La presenza del rivoluzionario russo divide la città, anche tra i campesinos capeggiati da Ruiz, comunista filo stalinista. Frank Jackson è un uomo d’affari di origine canadese, proveniente dal Belgio e da Parigi, chiamato Jacques dalla convivente Gita, un’attivista comunista amica della famiglia di Trotzky. Quest’ultimo vive von l’amata moglie Natascia e combatte tenacemente il nemico Stalin dichiarando che il dittatore sovietico: “non colpisce più le idee ma i crani dei suoi nemici”. “Il fascismo passa da una vittoria all’altra e trova il suo principale alleato nello stalinismo”, parole forti che mettono ancora più a rischio la sua incolumità personale e la famiglia, già falcidiata da quattro figli uccisi. “Non mi rimane che un nipote e la verità non la si soffoca”. “Un giorno vedremo dalle ceneri dei principi marxisti il nuovo stato dei lavoratori, la Quarta Internazionale…”. Jackson si muove ambiguamente tra vari personaggi. La dimora di Trotzky subisce un assalto in piena regola ma riesce a salvarsi. Egli così ottiene maggiore protezione e consolida meglio la sua fortezza. La polizia locale comandata dal colonnello Salazar è convinta che Trotzky e consorte si siano salvati perché avvisati prima, “questi attentati le danno una certa popolarità”. Felipe avvisa Jacques che forse d’ora in avanti dovrà fare da solo. Questi ritiene Trotzky un idealista che vuole abbattere Stalin e il regime in nome dei principi marxisti. “Anch’io so persuadere…io fermerò la Storia ma non sono importante”, urla geloso del carisma di Trotzky a Gita. “Voi credete che la politica siano i comitati, le opinioni e lasciate che il mondo vada in malora per i vostri piccoli egoismi”, dice ancora il tormentato Jacques che si professa ufficialmente estraneo alla politica. Trotzky intanto comincia a scrivere, dettare e registrare un memoriale in cui ammette errori del passato ma non rinnega la rivoluzione. “La guerra civile non è una scuola di umanità e tutti i mezzi sono validi per liberarla”. Durante gli interrogatori per l’attentato ai suoi danni Ruiz lo accusa di essere un controrivoluzionario, un traditore…”L’arte è uno dei più importanti mezzi di orientamento dati all’uomo”. Ancora dal suo memoriale…”morirò proletario e rivoluzionario, marxista, materialista dialettico e quindi inconciliabilmente ateo…”. Una sorta di testamento a futura memoria. L’innocente e pasionaria Gita introduce il suo amante Jackson nella casa di Lev. Con la scusa di un articolo sulla situazione francese il frustrato Jacques ucciderà con una piccozza Trotzky. Scene strazianti (e molto intense) seguiranno di Natascia, Gita e dello stesso attentatore che alla domanda di Salazar: “Chi è lei?”, risponderà: “Ho ucciso Trotzky”.



Joseph Losey – su sceneggiatura di Nicholas Mosley e Masolino D’Amico – ricostruisce L’ASSASSINIO DI TROTZKY abbastanza fedelmente con alcune varianti e libertà. Il regista americano sceglie un registro non prettamente biografico, poiché alterna la descrizione di Trotzky con quella del suo sicario. L’uomo più popolare della Russia sovietica dopo Lenin viene raccontato attraverso la sua seriosità, la cura per i suoi animali da cortile, l’amore sconfinato per Natascia, il suo pensiero narrato da lui stesso e dal magnetofono con cui ne registra i passaggi più importanti. Mettere per immagini e soprattutto per parola l’ideologia non era semplice e Losey lo fa come meglio può evitando pesantezze e retorica, sfiorando talvolta il didascalico. La descrizione/psicologia di colui che si rivelerà “l’eroe” Ramon Mercader, viene sviluppata con raffinatezza e intensità. Il personaggio di Jacques o Frank Jackson è misteriosa fino alla fine: uomo fragile, timido (si nasconde spesso dietro lenti scure), ambizioso e irrealizzato al contempo, represso e insicuro. Egli troverà una sua ragione d’essere solo uccidendo Trotzky cioè un rivale piuttosto che un nemico o un simbolo. Fondamentale la bravura di Alain Delon nell’interpretarlo e Romy Schneider nel contrapporsi a lui, con l’intento di capirlo e di non riuscirci, e in conclusione di respingerlo. Ottima la scena/metafora in cui viene mostrata la crudeltà della morte del toro nell’arena che anticipa e/o rappresenta la “lenta e inesorabile” agonia di Trotzky, manca solo il colpo definitivo del matador. E il bisticcio-tormento di Jacques e Gita sono una delle chiavi per capire presente e futuro degli eventi. Richard Burton, nella difficile parte del vecchio Leone, è serio e compassato, sostanzialmente convincente. Idem ma un gradino sotto Valentina Cortese nei panni della moglie Natascia. Bene anche gli italiani (il film è una coproduzione De Laurentiis) Luigi Vannucchi (Ruiz), Duilio Del Prete (Felipe) e Giorgio Albertazzi (Salazar). Musiche austere e minimaliste di Egisto Macchi.

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