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Un uomo in ginocchio

Regia di Damiano Damiani vedi scheda film

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La recensione su Un uomo in ginocchio

di giurista81
7 stelle

 

Dramma sospeso tra poliziottesco e mafia movie forse non troppo considerato nell'ambito della filmografia di Damiano Damiani, ma non per questo da valutare tra le opere inferiori dirette dal Maestro.

Sorretto da un cast di attori particolarmente in forma, su tutti un mostruoso Michele Placido e un ottimo Tano Cimarosa, Un Uomo in Ginocchio si rivela un solido prodotto che intrattiene e coinvolge lo spettatore dal primo all'ultimo minuto, pur se soffrendo di una certa verbosità in alcuni passaggi non proprio essenziali ai fini della vicenda. Damiani si muove tra le vie di Palermo, tra carrellate laterali, primissimi piani e allusioni, riuscendo a raccontare un underground malavitoso scosso dal terremoto prodotto da un boss intenzionato a punire chi ha contravvenuto a certe regole della mala (tipo sequestrare la moglie di un dato avvocato). In città si parla di una lista di otto nomi di condannati a morte. Sospetti, timori e soprattutto la convinzione di essere finiti in quell'elenco smuovono una serie di relazioni su cui si innescano trattative, tentativi di corruzione e di truffe, in una logica delinquenziale in cui il tessuto malavitoso, con la sua macchina di processi sommari che non ammettono margini di difesa, domina e si sostituisce alla giustizia.

Ottima la sceneggiatura (dello stesso regista e di Nicola Badalucco) soprattutto per il ribaltamento dei ruoli cui vanno incontro il personaggio di Placido e quello di Giuliano Gemma. Quest'ultimo è forse fuori ruolo (come lo è Eleonora Giorgi), nella parte di un bandito di basso profilo che suo malgrado si ritrova coinvolto in ingranaggi più grossi di lui, tra ricatti, pressioni e paure che generano una paranoia non del tutto infondata. Damiani non sfrutta le doti acrobatiche dell'attore romano ma, al tempo stesso, beneficia dell'attrattività che lo stesso è in grado di offrire sul pubblico. Gemma prova a crescere, così da fornire una performance che lo elevi dai prodotti commerciali. Si esprime in linguaggio siculo funzionale a plasmare un'interpretazione più matura e assai lontana dalle ironie con cui era solito colorire i suoi western o il sorrisi & cazzotti. Purtroppo il doversi misurare al fianco e contrapposto a un gigione come Michele Placido si rivela una chiamata assai difficile da sostenere. Gemma subisce gli sbalzi umorali del personaggio di Placido, un'altra vittima come lui pur se presentata nelle vesti di lupo. Mentre l'attore romano è granitico anche quando dovrebbe essere disperato ("se c'è da sparare si spara"), il personaggio del collega pugliese è in continuo divenire, a dir poco bipolare e affetto da un background psicologico che sgretola la freddezza per dar vita a una serie di varianti che simboleggiano la frammentazione di una personalità non perfettamente completata e consumata dalla paura dell'organizzazione che si muove dietro a tutto.

Sul versante della messa in scena colpisce la rappresentazione dura e cruda degli episodi della mala, in un linguaggio filmico tipico di quell'epoca che confluirà, di lì a poco, nel fortunato sceneggiato RAI La Piovra. Damiani, senza concedere troppo allo spettacolo e badando più al realismo, rinnova la grammatica proposta a suo tempo da Carlo Lizzani con film come Banditi a Milano. Si spara alle spalle, si trucidano uomini a sangue freddo e si scappa coperti dall'omertà di un contesto sociale ancora troppo impaurito per ribellarsi e far sentire la voce del popolo. Non a caso lo stesso Platamona, il killer interpretato da Placido, faticherà a prendere le distanze da un consolidato schema mentale che lo ha condannato a morte, cercando una riabilitazione in nome dell'onore e del rispetto delle gerarchie della mala piuttosto che del rispetto di sé stessi. Chi denuncia o si ribella è un “infame” e lo stesso è da dirsi per chi non accetta le condanne inflitte dal boss.

Buone le musiche con un fischietto morriconiano dietro al quale si nasconde il genio del veterano Franco Mannino.

Tra i caratteristi si notano, in piccoli ruoli, Luciano Catenacci (curiosamente nei panni di un commissario, in luogo ai tradizionali ruoli di bandito) e Nello Pazzafini.

 

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