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Los niños salvajes

Regia di Patricia Ferreira vedi scheda film

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La recensione su Los niños salvajes

di OGM
8 stelle

Sono ragazzi difficili. Ma la colpa non è tutta loro. Il punto è che i loro genitori non hanno mai voluto accettarli per quelli che sono. Sono sempre stati troppo intenti a fissare il modello a cui i loro ragazzi avrebbe dovuto conformarsi. Hanno puntato lo sguardo lì, nel campo dell’astratto, anziché sui loro ragazzi, rifiutandosi di conoscerli. Ed è così che, agli occhi dei figli,  si sono trasformati nei loro aguzzini, e quindi nei loro nemici. Alex, Gabi e Oky sono adolescenti normali, pieni di paure e di debolezze, ma anche di talenti e buoni sentimenti, come la maggior parte dei loro coetanei. Però le loro aspirazioni non coincidono con quelle dei loro padri, che vorrebbero forzarne il percorso professionale, determinando le passioni da coltivare, le amicizie da frequentare, gli obiettivi da raggiungere, il destino. Dietro prescrizioni e divieti si cela il bene imposto per autorità: l’espressione di un amore sbagliato, che assume atteggiamenti involontariamente ricattatori, e dal quale è impossibile fuggire. Si può solo cercare di difendersi, entro i limiti concessi da quel rapporto di totale dipendenza materiale. I tre giovani protagonisti di questa storia dei nostri giorni combattono una dura battaglia per salvaguardare la propria identità: quella di un promettente artista di graffiti, di un tipo tranquillo che ama il computer e odia il kickboxing, di una fanciulla dal cuore d’oro, che si è stancata di andare a scuola di flamenco per il piacere altrui. Sono le vittime di violenze che nessuno, dall’esterno, giudicherebbe come tali. E che comportano dei no che fanno tanto male, e non aiutano per nulla a crescere. Il coperchio viene premuto su una pentola in ebollizione. Il quadro potrebbe sembrare pacifico, se non fosse per quelle intemperanze comportamentali che pregiudicano il rendimento scolastico e che di tanto in tanto disturbano il rapporto tra allievi e professori. Un problema invisibile trova il suo sfogo in una ribellione qualsiasi, in una trasgressione che si confonde con la solita voglia di ripicca e il banale desiderio di seguire le mode. Le vere ragioni di quelle reazioni, futili o eclatanti, rimangono seminascoste, come minuscole fibre dolenti che affiorano a malapena dentro il grossolano tessuto della quotidianità. Il film di Patricia Ferreira le esplora con prudente distacco, attraverso un’indagine retrospettiva che svela una successione di eventi apparentemente ordinari ed insignificanti, che si direbbero incapaci di produrre un epilogo di drammatiche proporzioni. Il tragico finale arriva all’improvviso, preannunciato da tanti piccoli indizi, che a nessuno, tuttavia, verrebbe in mente di sommare per mettere in calcolo l’ammontare complessivo della frustrazione, dell’oppressione, della sensazione di impotenza che un animo acerbo non ha ancora imparato a gestire. L’orrore inspiegabile accade senza un perché. O meglio, con un perché impercettibilmente diluito nel tempo.

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