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Il cortile del diavolo

Regia di Fred Schepisi vedi scheda film

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La recensione su Il cortile del diavolo

di OGM
8 stelle

Una mente indisciplinata è il cortile del diavolo. Per i giovani allievi di un collegio cattolico australiano, l’educazione, anziché accompagnare il processo di crescita, lo contrasta con ogni mezzo. Secondo padre Francine, il corpo, che, nella fase della pubertà, subisce radicali cambiamenti ed invia messaggi dal significato in parte sconosciuto,  deve essere tenuto costantemente coperto, e considerato da ciascuno come il suo peggior nemico. Gli occhi sono lo specchio dell’anima, e in quanto tali devono restare incontaminati, immuni dalla morbosa curiosità di guardare la propria nudità e quella altrui. Il tredicenne Tom Allen è costretto a fare la doccia indossando gli slip, e la notte, immancabilmente, bagna il letto. Eppure non pensa ad abbandonare quell'istituto, che gli procura tanto disagio:  continua, diligentemente, ogni mattina, a lavare il pigiama e le lenzuola, stando chino sulla vasca da bagno, anche se ciò lo farà arrivare in ritardo alla messa, causandogli nuovi rimproveri. A trattenerlo, fra quelle mura che assomigliano tanto alle pareti di una prigione, è la vocazione, che lo ha colto, all’improvviso, durante una benedizione, ed è qualcosa che non si può spiegare. Ma forse sentirsi chiamati ad una missione religiosa non basta a compensare l’angoscia  dovuta alla preoccupazione di non essere all’altezza di un compito tanto difficile ed importante. Tom passa lungo tempo in chiesa, a pregare: è convinto che ciò possa aiutarlo a tener duro. Ad un tratto, però, si accorgerà che, senza la presenza di altri esseri umani, con cui parlare e condividere le proprie emozioni, la compagnia di Dio è soltanto solitudine, e non salva dalla disperazione di ritrovarsi abbandonati a se stessi, alle prese con tentazioni a cui non si riesce a resistere, e a rinunce che sembrano ingiuste, se non addirittura crudeli. La storia si svolge nel 1953, la rivoluzione sessuale è ancora di là da venire, ma già inizia a serpeggiare il dubbio che i cosiddetti atti impuri non meritino tal nome, e siano un ineludibile risvolto della fisiologia umana. Se ne discute anche tra sacerdoti, nei momenti in cui, lontano dagli occhi dei ragazzi, ci si riunisce in salotto per bere, fumare, giocare a biliardo e  chiacchierare del più e del meno. Trattare l’argomento con la leggerezza dei discorsi tra amici è parte dell’ipocrisia di chi predica bene e razzola male; ma anche tacere, evitando sdegnosamente di toccare la questione – come fa Francine – è solo la recita di un ruolo, che maschera la paura di dover fare apertamente i conti con le proprie debolezze. La falsità, quando viene estesa alla sfera intima, portando  l’individuo a mentire anche con se stesso, sconfina nella follia: rifiutarsi di ammettere la propria imperfezione, pretendendo di reprimere persino i propri  pensieri, è uno sforzo paradossale, che, se non è interrotto da un moto ribelle,  sfocia inesorabilmente nell’autodistruzione. Qualcuno, nel film, cadrà vittima di questa assurda perversione, qualcun altro si salverà in extremis; e forse qualcun altro capirà che niente, in questo mondo terreno, è al di sopra di nient’altro. Non lo è la spiritualità rispetto alla fisicità, non lo è nessuna creatura rispetto ad un’altra. Solo Dio, per chi ci crede, è in grado di sovrastare il creato, in cui ogni essere può vivere in pace solo stringendo un’unione, serena e paritaria, con tutti i suoi simili. Fred Schepisi lascia che, in questo suo lungometraggio d'esordio, la frattura pretestuosamente prodotta tra l’uomo e la natura  venga periodicamente a galla, sotto forma di dilemmi morali, di impulsi incontrollabili e deviati, di trasgressività travestita da gioco. La realtà esterna è un campo minato a cui ci si avvicina con circospezione, sapendo che ad ogni passo si rischia di piombare nell’orrore dell’inferno. Meditazione significa solo astensione dallo sfogo della pressione che cova dentro, e che spinge, nonostante tutto, ad avvicinarsi a quel territorio proibito. Nel buio della cappella, Tom cerca di dimenticare se stesso, ma, avventurandosi nel fitto del bosco, finisce sempre per venire a contatto con la verità che altri gli hanno insegnato a negare: l’amore innocente, il desiderio carnale, la semplice gioia di vedersi come parte di un tutto. Là fuori si trova anche il senso di una fraternità che si apre senza remore al prossimo, e che non ha paura di scoprirsi, perché la vergogna di se stessi è il più grave dei peccati.

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