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Perché si uccide un magistrato

Regia di Damiano Damiani vedi scheda film

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La recensione su Perché si uccide un magistrato

di degoffro
4 stelle

Damiano Damiani si incarta. Dopo il poderoso e vibrante "Confessioni di un commissario di polizia ad un procuratore della Repubblica", indignato, potente e durissimo atto d'accusa contro i mali, eterni ed endemici, della giustizia italiana, un pamphlet senza sconti, senza retorica e soprattutto senza possibilità d'appello, il regista ne riprende temi, situazioni, idee, personaggi. Ma se la requisitoria spietata, appassionata ed appassionante di quel film trovava logica, coerenza, lucidità e credibilità in una struttura narrativa solida e convincente, in "Perché si uccide un magistrato" il discorso si fa approssimativo, semplicistico, fumoso, didascalico. Il suo film si perde, purtroppo, tra abusati e ovvi luoghi comuni, facili e schematiche convenzioni, imperdonabili e gratuite macchiette, risibili e superflui colpi di scena. Se nel precedente film gli stereotipi, comunque inevitabili, forse quasi necessari in opere del genere, erano contenuti o più semplicemente meglio gestiti, anche perché a sostegno di una storia compatta ed avvincente, dunque in grado di suscitare il giusto sdegno, rabbia, e sconforto, qui si fanno pericolosamente prevaricanti, quindi meno accettabili tanto da provocare indifferenza e fastidio. Il forte, legittimo e consueto intento politico del regista, evidente fin dal pomposo, ma alla lunga ingannevole e fuorviante titolo, viene poi smontato, in modo anche piuttosto ridicolo e romanzesco, dalla fiacca e vacillante soluzione finale che cambia, radicalmente ed improvvisamente, la prospettiva, spostandola su un altro punto di vista, dal pubblico al privato: questa volta non c'è nessun tipo di corruzione, vendetta o complotto dietro l'omicidio del magistrato Traini, ma solo una banale vicenda di relazione extraconiugale. Come a dire che non sempre la realtà è come appare, nemmeno in quel di Palermo. Conclusione spiazzante o sbalestrata, a seconda dei gusti, a suo modo anche originale e curiosa, specie alla luce dei precedenti e più riusciti film di impegno civile di Damiani, ma tutt'altro che persuasiva, efficace e stimolante. Forse il regista, preoccupato dall'idea di giungere alle solite e ormai arcinote conclusioni, ha voluto rigirare la frittata, forzando, senza un autentico motivo, la già logora e fragile narrazione su una dimensione romantico sentimentale non particolarmente appropriata, con risultati davvero modesti ed insoddisfacenti, oltre che poco plausibili. Ad appesantire il tutto poi si aggiungono dialoghi sentenziosi del tipo "Noi magistrati siamo come i militari di carriera che hanno orrore della guerra, mentre i borghesi sognano sempre i campi di battaglia", una regia sotto tono, automatica e senza nerbo, a volte quasi compiaciuta (Damiani, che si identifica nel protagonista Solaris, arriva anche ad autocitarsi con le immagini del film nel film), una sceneggiatura, firmata dallo stesso Damiani con Enrico Ribulsi (sceneggiatore, tra gli altri, di diversi film di Damiani tra cui spicca l'eccellente "Girolimoni" e di "Acthung! Banditi!" di Lizzani), monotona, confusa, superficiale e poco coinvolgente. Azione e violenza ridotte al minimo (persino l'omicidio del magistrato non viene mostrato, se non attraverso la piccola fessura di una saracinesca), suspense con il contagocce. Gli attori si adeguano alla mediocrità generale, anche perché alle prese con personaggi unidimensionali, che rappresentano, appunto, solo vuoti e stanchi stereotipi. Franco Nero è certo in parte ma rifà, in modo piuttosto pigro e demotivato, un ruolo ai limite del cliché, mentre la bella Françoise Fabian è seducente e misteriosa, ma un pò sprecata nei panni di una vedova vendicativa ed arrogante. Un film che in definitiva procede anonimo, annoiato, inerte, meccanico e prolisso: l'impressione netta è che il regista, in questo caso, si sia adagiato sugli allori e abbia voluto, un pò furbescamente, cavalcare l'onda lunga dei suoi celebri successi, accontentandosi di una vicenda posticcia e pasticciata, che in realtà non ha da aggiungere nulla di nuovo o significativo a quanto già detto in precedenza, con ben altra forza comunicativa, energia, persuasione ed incisività. La sferzante, doverosa e puntigliosa critica sociale dei suoi titoli migliori qui è perciò irrimediabilmente annacquata, generica, ambigua, incerta, così che il film sostanzialmente risulta troppo esplicitamente a tesi, specie nella prima parte, dunque, alla lunga, inutile, sterile ed equivoco. Bella ed emblematica solo una battuta di Solaris, rivolta al magistrato e purtroppo adatta anche ai nostri tristi e cupi tempi, in cui pare ancora estremamente difficile parlare di autentica e sana giustizia: "Da una parte cerca la verità, dall'altra chiude gli occhi!". Peccato che il resto del film non sia all'altezza di questa amara e sconsolante verità. Prodotto da Mario Cecchi Gori. Musiche di Riz Ortolani. In colonna sonora "L'indifferenza" di Iva Zanicchi.
Voto: 5-

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