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Augustine

Regia di Alice Winocour vedi scheda film

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La recensione su Augustine

di alan smithee
6 stelle

Parigi, ultimi decenni del 1800. All’ospadale de la Pitié Salpetrière viene ricoverata, tra le tante donne che vi trovano riparo, una cameriera di nome Augustine in seguito ad una plateale crisi epilettica che la coglie durante il servizio di un pranzo ufficiale presso la famiglia che da anni la accoglie come una delle inservienti. Il ripetersi delle crisi, plateali e sino impressionanti, la mettono in luce sugli altri casi, agli occhi di un eminente professore, il Dottor Charcot, studioso delle crisi di isterismo e nome molto evocato, nel bene e nel male, presso i vertici più alti e prestigiosi dello scibile dell'epoca in campo medico, e noto per i suoi studi e le sue metodologie spesso rivoluzionarie e poco ortodosse, se paragonate a quelle piu’ accademiche seguite ossequiosamente dai colleghi piu' obbedienti e tradizionalisti.

Lo studio approfondito delle crisi, violente e sempre più frequenti, che portano la paziente in uno stato di semi paresi, permettono al brillante medico di formulare delle ipotesi che sembrano suggestioni e creare addirittura dei congegni rudimentali ma innovativi per l’epoca che permetteranno al dottoredi individuare con esattezza le cause e quindi pure i rimedi della malattia. Ma anche fatalmente di innamorarsi - proprio lui uomo sposato ma in fondo infelice o almeno non pienamente realizzato - della bella paziente, che trova dal suo canto nel medico la figura rassicurante presso cui rifugiarsi ed in qualche modo guarire i suoi mali, dalle origini più interiori che fisiche. E sanata quasi improvvisamente dal suo male oscuro, proprio alla vigilia della dimostrazione in cui la giovane avrebbe dovuto apparire a testimonianza dei progressi ottenuti dal suo guaritore di fronte ad una corte di studiosi e finanziatori, la ragazza si sentirà in dovere di fingere il suo male per assecondare quel successo che Charcot si è certamente guadagnato conducendo sul guado sicuro una esistenza giovane ma già condannata alla fine piu’ prematura e dolorosa, tra paralisi e menomazioni corporali.

Ambientato minuziosamente nei freddi interni di un ospedale che nel suo orrore racchiude tuttavia anche le speranze di una scienza nascente che riesce a fatica, e dopo innumerevoli tentativi spesso vani sulla pelle dei soliti miserabili, a trovare soluzioni e rimedi che saranno il fondamento della medicina moderna, il film - fosco e cupo ma ravvivato qua e là dai colori fastosi di abiti e tessuti che spiccano assieme alla meticolosa ricostruzione di ambienti e arredi - poggia le sue basi più sicure sulla credibilità anche esteriore e fisica dei suoi interpreti: una Soko a noi sconosciuta, attraente come una gitana sensuale e misteriosa, luminosa di una bellezza tutta d’epoca, burrosa, di fianchi larghi e seno stretto molto pertinenti ed in linea con la concezione della “bellezza=prosperosità=salute e benessere” di quell’epoca, così distante dalla concezione moderna e scarnificata di perfezione femminile odierna.
Vincent Lindon dal suo canto rappresenta una sicurezza e una base solida per il carisma e la forte carica mascolina che sa trasferire nei bei personaggi che si trova a raffigurare e che qui non gli vengono meno.

Il film della debuttante Alice Winocour non offre particolari spiccati colpi di forza, originalità o intrattenimento, ma riesce tuttavia a distinguersi positivamente sulle recenti precedenti produzioni incentrate sui fenomeni casi di isteria femminile: da quel bonario, divertente ma un po’ farlocco "Histeria", all’altisonante e manierato e un po' statico Cronemberg di "A dangerous method" con una pessima Keira Knightley, che non osiamo pensare a come avrebbe debordato in fastidiose smancerie e smorfiette se avesse dovuto, come qui accade, gestire scene molto realistiche di epilessia che invece la meno sofisticata e più "popolana" Soko affronta con dignitosa pacatezza e una naturalezza del tutto lodevoli, credibili e molto meno plateali dell'atteggiamento della diva britannica.

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