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Un giorno devi andare

Regia di Giorgio Diritti vedi scheda film

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La recensione su Un giorno devi andare

di FilmTv Rivista
6 stelle

«Sono scappata dal dolore». Lungo il fiume e sull’acqua Augusta - dopo tormenti e infauste vicende familiari (una gravidanza non andata a buon fine) - si rifugia nella foresta amazzonica cercando - nella maestosa potenza della natura - di rimettere in sesto i cocci della sua carne e del suo spirito. La luna (piena e ingombrante), l’interno di una pancia che non ha saputo ascoltare, una donna che piange, la “lettera” di un bambino mai nato per un’elaborazione di un lutto che forse non si può, né si potrà mai elaborare del tutto. Un primo tragitto, una barca, una suora - amica della madre - che spende il suo tempo nella sua missione tra gli indios, presenza occidentale tanto operosa quanto conquistatrice. E così Augusta riparte, un altro percorso, un’altra barca, tra silenzi assordanti e corsi d’acqua interminabili come i pensieri che si prendono a pugni. «Almeno una volta nella vita c’è un segno. E allora devi andare». Dove, non si sa. L’importante è il viaggio non la meta, è l’amore che bisognerebbe sempre cercare di regalare prima a se stessi, è la forza, l’istinto della vita che ti costringe a non arrenderti, a proseguire, sempre lungo il fiume, un’altra barca ancora, e ancora i silenzi, le profezie della natura, l’essenzialità dei gesti e dei rumori appena percepiti. Sguardi nel vuoto che, a poco a poco, prendono fuoco, si fanno nitidi e netti. Augusta può sperare. Anche se il cammino è lungo come il fiume e lo spirito non lo puoi imprigionare. Le immagini del terzo lungometraggio di finzione (dopo Il vento fa il suo giro e L’uomo che verrà) di Giorgio Diritti volano alto, liberate da movimenti di macchina che respirano le radici di luoghi magici e di un tempo che trascorre senza orologi obbligati a darsi appuntamenti. Ciò che stride sono le parole: perché dire (fuori campo) ciò che il campo già dice? Il sensibile regista bolognese forse dovrebbe andare a lezione da Brillante Mendoza, guardarsi un paio di volte il suo splendido Sinapupunan e decidere, almeno per il prossimo film, di avere più fiducia nello spettatore.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 13 del 2013

Autore: Aldo Fittante

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