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Regia di Harold Trompetero vedi scheda film

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La recensione su Locos

di OGM
8 stelle

L’amore come una grottesca isteria da quattro soldi. In questa allucinata commedia colombiana, la  passione è un assurdo totalizzante, che non teme il ridicolo e sfida persino il pericolo mortale, forte di una visionaria incoscienza che si isola dalla realtà. Edoardo, un imbianchino cinquantenne, mentre sta pitturando il muro di un ospedale psichiatrico, incontra Carolina, una giovane paziente, che si traveste da suora infermiera ed è affetta da una forma di schizofrenia a sfondo mistico. Tra i due scocca immediatamente la scintilla, il principio di un incendio che continuerà a divampare a suon di fantasiose bizzarrie, come si conviene a tutte le forme maniacali ed ossessive: ciò che si ribella alla ragione trae, dalla propria assoluta indipendenza, una forza invincibile, inattaccabile da parte del buon senso.  I due protagonisti intraprendono una relazione sentimentale che inizia, a distanza, con un muto scambio di sguardi e di gesti allusivi, e quindi prosegue in una carnalità imperiosa e selvaggia, consumata nei luoghi più impensati, senza alcun pudore, e a dispetto della malattia di lei. Un uomo e una donna si desiderano e non possono fare a meno l’uno dell’altra: tutto avviene in maniera primitiva e inspiegabile, che non ammette questioni, e si manifesta con un trasporto puramente istintuale e quasi privo di parole. Il surreale ménage di quella coppia “impossibile” assume i tratti di una comica disperata, eccessiva nella gioia e nel dolore, praticamente afasica e goffamente teatrale come in un film degli anni venti. Lei trascina lui in un meraviglioso abisso, dove il gioco non conosce confini, la violenza e il delirio sono costantemente in agguato, ma, in compenso, una mente sgombra da pensieri concreti offre un facile passaggio alla poesia infantile della favola romantica. In questo senso, l’ingenuità è il veicolo della grandezza dell’anima, del cuore di colui che ha smarrito il senso della misura, e farebbe qualunque cosa pur di continuare a battere all’unisono con quello, ugualmente matto di euforia e di alienazione, di colei che gli sta accanto. L’autodistruzione passa attraverso le diverse fasi di un sacrificio, che è un progressivo perdersi nell’illusione di potersi fondere col proprio opposto, diventando, con esso, una cosa sola. La sintesi può essere un processo avventuroso ed acrobatico, che martirizza l’essere a furia di rinunce e sensi di colpa, fino ad azzerare la dignità dell’individuo. Edoardo si lascia contagiare dall’incurabilità di Carolina, per poi scivolare in un vortice che alterna rassegnazione e volontà di autopunirsi, attivismo paranoico ed abbandono di ogni scopo. È il convulso livellamento interiore che spezza le catene dell’abitudine per preparare la costruzione di un nuovo io. Il regista Harold Trompetero ci racconta questa metamorfosi col tono di una filastrocca saltellante e stonata, piena di strafalcioni e di forzature linguistiche, che fa le boccacce alle liriche dei vati, e, in tal modo, risulta, forse, infinitamente più divina.

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