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A Lobster Tale

Regia di Adam Massey vedi scheda film

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La recensione su A Lobster Tale

di OGM
6 stelle

Nei villaggi marittimi del New England, il prototipo dell’uomo misero, in termini materiali ed intellettuali, è il lobster man, il pescatore di aragoste. È lui il disgraziato e il sempliciotto per antonomasia, il protagonista delle barzellette che si raccontano al bar, perché, quando una mosca cade nel  suo bicchiere, la solleva per le alucce, ma non per cacciarla via, bensì per intimarle di risputare la birra che si è bevuta. Cody Brewer non fa eccezione: non possiede nulla, a parte qualche nassa e una barchetta a motore vecchia e sgangherata, che i gabbiani di divertono a centrare con il loro guano.  La moglie Martha, cameriera in un ristorantino in cui si serve il pesce, è l’infelice consorte di un uomo che è troppo preso dalle preoccupazioni quotidiane per notare il suo nuovo profumo o il suo nuovo di taglio di capelli. Ed il figlio Jake, costretto a portare sempre gli stessi, logori vestiti,  reca impresso, agli occhi dei compagni, il marchio ereditario del perdente nato.  Cody è il cenerentolo per il quale tutto il modo è la cattiva matrigna; e come nella più classica delle fiabe, occorre un prodigio per ribaltarne il destino, e farlo diventare, da un giorno all’altro, un individuo straordinariamente privilegiato,  esclusivo detentore di un bene a  cui tutti ardentemente aspirano. Adam Massey utilizza uno spunto semplice, ma sufficientemente surreale, per trasformare il tranquillo ambiente paesano, dalle dinamiche abitudinarie e scontate, nel vivace teatrino in cui si svolge un nevrotico psicodramma ruotante intorno ad un unico miracoloso oggetto del desiderio.  La struttura è quella tipica dello spot, in cui il prodotto reclamizzato è il centro dell’attenzione, ed il fulcro della situazione, capace di accendere o spegnere istantaneamente,  con la sua presenza o assenza, l’interruttore della fortuna, della gioia, del successo. Il regista è un professionista del settore, che ha realizzato, negli USA, diverse importanti campagne pubblicitarie, alcune delle quali sono divenute in breve tempo veri e propri classici di riferimento. Il suo esordio cinematografico applica, allo schema della commedia, il principio del sasso gettato nello stagno, la nuova, improvvisa apparizione che sposta in maniera clamorosa i limiti del possibile,   sovvertendo le norme consolidate e sconvolgendo la vita di tutti. L’effetto dirompente è quello di un’esplosione abbagliante, che, mentre anestetizza fulmineamente dal dolore, e fa divampare la fiamma della speranza, acceca di colpo  l’umanità, stendendo su ogni essere il velo indifferenziato del cinismo. L’ideale del possesso di quella determinata cosa prevale, nella coscienza di ognuno, su qualsiasi valutazione morale, divenendo l’unico criterio regolatore delle relazioni interpersonali. Il tipico meccanismo su cui si fonda l’effetto persuasivo delle scenette e degli slogan alla No Martini, no party, è utilizzato, in questo film, per realizzare un curioso siparietto in cui, esattamente come nei caroselli, i protagonisti non sono tanto i personaggi, quanto i loro piccoli, peculiari sogni individuali: sono questi, e non i loro caratteri, a definirli come tipi. Nel film, a contraddistinguere i singoli interpreti della storia, facendo emergere le loro personalità dal grigio sfondo del racconto, sono i diversi motivi che li attraggono verso il miracoloso muschio marino pescato da Cody; sono, cioè, i rispettivi mali (l’alluce valgo, l’impotenza, un terzo capezzolo, le palpitazioni cardiache), di cui essi vorrebbero liberarsi con quella bizzarra panacea. Sono questi a renderli vivi, ad ispirare le loro parole e loro azioni, come avviene nei copioni costruiti intorno ad un articolo da commercializzare. A Lobster Tale sviluppa questo canovaccio in una compiuta forma narrativa, a dire il vero, senza mai brillare, però riuscendo ad inserire, in chiusura, un elemento estraneo, tipicamente letterario, e dissonante rispetto ai canoni del marketing: una sorta di morale che propone, anziché il solito pay off risolutivo, un finale aperto e sfumato, digradante in modo naturale, ed anche un po’ ingenuo, verso la riflessione esistenziale.     

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