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La conquête

Regia di Xavier Durringer vedi scheda film

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La recensione su La conquête

di OGM
4 stelle

La storia di un presidente in formato tabloid. L’irresistibile ascesa al potere di Nicolas Sarkozy è il fotoromanzo di un segugio che fiuta le occasioni e le sfrutta a proprio vantaggio, in mezzo ad una classe politica che parla parla ed intanto sta a guardare. Tutto inizia quando, nel maggio del 2002, le petit Nicolas viene convocato dal capo di stato per ricevere l’incarico di ministro dell’Interno. Già in quella circostanza, il Jacques Chirac di questo film si presenta come la caricatura dell’oratore da salotto, dotato della rara abilità di presentare ogni sua decisione, gradita o sgradita che sia, come inevitabile, ed indipendente dalla sua volontà. Il compagno di partito e di governo, Dominique de Villepin, titolare del dicastero degli Affari Esteri, da quel momento risulterà totalmente calato nel ruolo di mon pire ennemi, ed armato fino ai denti di un astio tale da trascendere i limiti del gusto della moralità. Intanto, la moglie Cécilia – interpretata da una perfetta sosia dell’originale - appare e scompare in un’alternanza di flashback e stacchi sulla vita privata del protagonista, come la grande donna che si nasconde dietro ogni piccolo uomo, e prima o poi lo molla, stanca di vivere nella sua ombra. Si dice che le campagne elettorali siano fondamentalmente un circo mediatico. In questo caso, l’immagine del tendone e della pista di sabbia si addice non solo al lato pubblico della faccenda, a base di comizi-spettacolo e dibattiti televisivi, ma anche e soprattutto alle azioni preparatorie che avvengono dietro le quinte. Sarkozy sa come giocare con la stampa, ma ciò non sarebbe sufficiente se non sapesse, con uguale maestria, manovrare anche i suoi pari. Curare la propria immagine significa farsi riprendere mentre si corre in bicicletta, e sequestrare le foto che ritraggono la dolce metà in compagnia del suo amante. La stessa strategia prevede di incontrare i poliziotti impegnati a reprimere la rivolta nella banlieue parigina, e gli operai di una fabbrica in crisi, su cui incombono il licenziamento e cassa integrazione. Intanto, nei palazzi del potere, occorre farsi strada sgomitando, accumulando incarichi, diventando onnipresente, inattaccabile, indispensabile per sedare il malcontento dell’elettorato e conquistare voti. Nel film di Xavier Durringer, il protagonista è un volpone ridicolizzato, ritratto in un quadro confuso, in cui si capisce soltanto che lui è il più furbo ed il più determinato, contro cui gli altri nulla possono. Intanto la realtà della Francia, con i suoi problemi economici e sociali, rimane fuori dalla porta, descritta come una massa di disperati pronti, in mancanza di alternative, ad abbracciare gli estremismi xenofobi e reazionari di Jean-Marie Le Pen allo stesso modo in cui ci si aggrappa all’ultima ancora di salvezza. A fronte di ciò Sarkozy si fa scrivere, dal suo ghostwriter, discorsi incisivi ed accattivanti, riuscendo subito a far salire le proprie quotazioni nel sondaggi. Tutto culmina la sera del 6 maggio 2007, quando i risultati ufficiali del secondo turno delle presidenziali proclamano la sua netta vittoria sulla socialista Segolène Royale. L’avversaria che non c’è, non si è mai vista, e si ignora come e perché sia stata battuta. La partita di Sarkozy si è disputata, così sembra, unicamente all’interno del suo partito, l’UMP, e del suo matrimonio. È lo statista venuto dal nulla, che si è fatto da solo, e si è affermato senza mai veramente confrontarsi col mondo. Il pragmatismo spinto, spogliato di ogni ideologia e di ogni coscienza civica, si è ridotto ad uno stereotipo surreale, sospeso nel vuoto. Ed è incarnato da una macchietta da rotocalco che, però, a ben vedere, non ha alcun aneddoto da raccontare, e tutt’al più può intrattenerci facendo l’imitazione di se stessa. Quell’uomo è uno e nessuno, l’anonimo operatore di un culto della personalità spersonalizzata, che viene acclamato non si sa da chi, né con quale motivazione. La conquête è un peccato di machiavellismo filmico, che pensa di mettere in scena le sue teorie schematiche e scriteriate, spogliando il cinema della sua anima narrante. Una biografia ha bisogno di un protagonista, e di tanti comprimari che gli stiano intorno. Un personaggio pubblico, del resto, si fa conoscere tramite le sue interazioni con la gente. In questo caso, invece, la sua identità rimane avvolta in un mistero, costruito su una reticente forma di astrazione, e quindi troppo artificioso per affascinare. Questo film ha un solo merito: quello di ricordarci che la satira più scadente non è quella che non ci fa ridere, bensì quella che riesce ad essere di parte senza dire nulla.

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