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Michael

Regia di Markus Schleinzer vedi scheda film

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La recensione su Michael

di OGM
8 stelle

Il caso del piccolo Wolfgang è analogo a quello reale di Natascha Kampusch: un bambino austriaco viene rapito da un maniaco che lo tiene segregato in una stanza blindata, ricavata nella cantina della sua abitazione. Si tratta di un quarantenne insospettabile, di professione impiegato presso una compagnia di assicurazioni, che, quando non abusa del ragazzino, lo tratta come farebbe un qualsiasi padre amorevole e premuroso: gioca con lui, lo porta in gita in campagna, festeggia con lui il Natale, con tanto di abete, canti e regali fasciati nella carta colorata. Non gli fa mancare niente, a parte la libertà ed il diritto a vivere in una famiglia vera. Michael è un pedofilo, però nulla, nel comportamento che tiene fuori dalle mura domestiche, presenta i segni di una patologia: quell’uomo ha successo nel lavoro e conduce una normale vita di relazione, che comprende anche l’attrazione sessuale per le donne. Tutto appare normale, al di fuori di quel terribile segreto che Michael tiene rigorosamente sotto chiave. Il realismo di questo film è splendidamente anodino, come quando la recitazione è improvvisata, però offuscata da una certa svogliatezza. È la storia quotidiana di un signor Nessuno, che, seduto ad una scrivania, parla al telefono con i clienti, che guida la macchina in mezzo al traffico, e che fa la spesa al supermercato, mentre, lì accanto, un commesso ripulisce i cocci di un barattolo caduto per terra. Ogni azione si trascina nell’anonimato dei giorni qualunque, privi di istanti salienti, nei quali anche quella perversione malata manca totalmente dei connotati della passione, della follia, della bestialità. Ogni gesto è trattenuto entro i confini dell’abitudine, che smussa gli spigoli dei paradossi, imponendo alla realtà una propria, artificiosa coerenza, costruita ad hoc per quella particolare situazione. Lo spirito d’adattamento scardina la distinzione tra il bene ed il male, annulla l’asimmetria tra vittima e carnefice e stende un velo di pace anche sulle situazioni più assurde e crudeli. Una strana naturalezza domina il ménage tra Michael e Wolfgang: i singoli momenti di tensione non riescono ad infrangere quell’armonia di fondo, perché – come i capricci di un figlio o i rimproveri di un genitore – sono fenomeni fisiologici ad ogni rapporto affettivo. Se la sofferenza c’è, da una parte o dall’altra, la si può tranquillamente scambiare per incomprensione o insoddisfazione: la fiamma della tragedia, se mai è esistita, si è ormai consumata, per lasciare spazio ad un accomodamento languente nella consuetudine, impercettibilmente logorato dagli attriti, ma sostanzialmente imbelle e sempre uguale a stesso. L’orrore si esprime proprio in questa ribellione negata dalla necessità, in questo odio soffocato per istinto di sopravvivenza, in questa metamorfosi morale, estetica, logica, che sostituisce, negli occhi di un bambino violato, il volto del mostro con una maschera dai tratti paterni. L’atrocità è avvolta in un soffice ed accogliente giaciglio di inoffensività, di cui la comodità, la ricchezza, la pulizia di una casa borghese sono i rassicuranti accessori. Non si alzano grida, dal dolore nascosto dietro quella porta imbottita di gommapiuma. Il tempo è stancamente scandito da parole strascicate, sussurrate in quella lingua tedesca abbozzata, la cui incisività si disperde nelle liquide inflessioni del dialetto. Ogni cosa sembra affidata ad una casuale mediocrità: sfumano persino i contorni di quel terrificante piano criminale, quando questo digrada in una regola acquisita, entrando a far parte dei tanti, scontati presupposti che costituiscono, per ogni individuo, le linee guida del suo stare al mondo. Michael è - né più, né meno - la cronaca di un modus vivendi, consolidato da una tacita intesa tra due soggetti che si sono incontrati in condizioni drammatiche, ma hanno ormai imparato a conoscersi e ad accettarsi, dimenticando quell’inimmaginabile inizio.

Questo film, candidato alla Palma d'Oro a Cannes nel 2011, è l'opera prima di Markus Schleinzer, che qui esordisce in veste di regista e sceneggiatore, dopo una lunga esperienza come direttore del casting.

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