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Fair Game

Regia di Doug Liman vedi scheda film

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La recensione su Fair Game

di BobtheHeat
4 stelle

Parto da lontano. Doug Liman è stato il regista come (quasi) tutti sanno, del primo episodio della Trilogia incentrata sulle avventure dell’ indistruttibile agente speciale Jason Bourne. Il suo film era stato certamente il più fedele ai romanzi di Robert Ludlum: ma sicuramente il meno redditizio a livello di incassi e, a detta della quasi totalità della critica, la penso all’opposto nel caso specifico ma siamo in 4 gatti, anche il meno avvincente e spettacolare. Per la cronaca gli altri 2 episodi erano stati diretti da Paul Greengrass, noto per il suo uso smisurato della “macchina traballante a mano”. (Dove sono finite quelle magnifiche steady-cam anni ‘80/90, vedi i leggendari piani sequenza dei vari Kubrick, De Palma, Scorsese, segnatamente “Quei bravi ragazzi” ) Liman si sarà detto: se è questo che vogliono pubblico e critica farò vedere che sono capace anche io di girare un film con quello (?)stile. L’occasione è questo “Fair Game” che ripercorre la vera storia di un’agente sottocopertura della Cia (una tenace e sempre brava Naomi Watts) messa al bando senza alcuna pietà insieme al marito politico “di sinistra” (solito combattivo Sean Penn) dai potenti della Casa Bianca, perchè colpevoli di non aver appoggiato, anzi osteggiato e smascherato, la campagna interventista in Iraq di Bush Jr & Co. Peccato che il regista per raccontare questa ennesimo soggetto di denuncia politica delle malefatte di quel governo (siamo per altro un pochino fuori tempo massimo oramai a dire nuovamente certe cose, viene alla mente anche il recente “Green Zone”, non a caso(?) sempre di Greengrass) scelga appunto lo stile “mi sono dimenticato la telecamera accesa e filmo a casaccio”. Il risultato è, almeno ai miei (poveri) occhi, quasi insopportabile. Specie nella prima parte, quella più macchinosa. (Per fortuna ero seduto nelle ultime file: il rischio “mal di testa quindi vomito” è stato scongiurato). Non riuscire a vedere una sola immagine ferma, persino quando viene versato del Tè in una tazzina, è alquanto fastidioso. L’idea sarà stata quella di cercare di aumentare la tensione e la concitazione ma invece, al contrario, si finisce a mio avviso per perdere concentrazione, non ascoltare i dialoghi. Insomma, non farsi prendere dalla storia, che non tocca quasi mai le corde dello spettatore e non emoziona quanto avrebbe potuto. (Mi rivedrò a breve “I tre giorni del condor” e Tutti gli uomini del presidente” per rifarmi, in tutti i sensi, gli occhi). Non a caso le due scene migliori sono quelle girate con “più calma” e di chiaro stampo teatrale nella casa/e con il “faccia a faccia” dei due protagonisti: la prima in cui Penn, di notte scende dalla scala in pigiama e, quasi fosse per sua stessa ammissione una “casalinga disperata”, rimprovera la moglie di partire nel cuore della notte per l’ennesima missione: e poi quella nel sotto finale, in cui i due si riuniscono e trovano le ultime forze per combattere, di nuovo insieme, uniti nel non farsi voler portare via “il loro matrimonio”. Scene dove la bravura e l’intensità degli interpreti, sopperisce a tutto il resto. Voto: 5

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