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Requiem

Regia di Hans-Christian Schmid vedi scheda film

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La recensione su Requiem

di spopola
8 stelle

Ispirato a una storia vera il film inquietante e misterioso,indaga sugli indecifrabili movimenti di una mente disturbata costretta a confrontarsi da sola e senza mediazioni con i propri conflitti interiori e sui disastri di una educazione bigotta e clericale ingigantiti dai profondi sensi di colpa che degenerano persino nell’autolesionismo.

Un film inquietante e misterioso che indaga sugli indecifrabili “movimenti” di una mente disturbata, sulla assoluta fragilità dell’anima costretta a confrontarsi da sola e senza mediazioni con i propri conflitti interiori e sui disastri di una educazione “bigotta” e clericale più disponibile ad abbracciare l’ipotesi minacciosa di una possessione demoniaca, piuttosto che accettare l’idea che si tratti semplicemente di una paranoia ossessiva generata e ingigantita dai profondi sensi di colpa pervasivi e indotti che spesso determinano squilibri e fissazioni che possono degenerare persino nell’autolesionismo. Ispirandosi ad una storia vera ma definendone fino dai titoli di testa la sua autonomia, il regista Hans-Christian Schmid aiutato dall’ottima sceneggiatura di Bernard Lange, abbraccia subito la tesi realistica della “malattia” senza per questo però abbandonare del tutto il versante più fantasioso ma ugualmente attendibile della presenza del “maleficio”, e lo fa attraverso l’ analisi spietata di una coscienza in crisi impossibilitata a rapportarsi con le proprie pulsioni “normalizzate” (anche di carattere sessuale che non escludono l’innamoramento e il rapporto fisico con il proprio boy-friend) che definire ultracoservatrici significa essere indulgenti, e da dogmi “moralistici” e retrivi, scomodamente repressivi, aggravati dall’insorgere tardivo di una malattia già di per se destabilizzante come l’epilessia. “Requiem” (o meglio la riflessione inoppugnabile che ci viene offerta dal regista di una storia più “inaccettabile” che veramente “incredibile” ) lascia allo spettatore il compito di considerare i fatti in base alla propria sensibilità e alle personali inclinazioni, sospeso fra ciò che suggerisce la razionalità di una valutazione oggettiva e l’ipotesi irrazionale di ciò che ignoto e incomprensibile e come tale inspiegabile, quasi in uno stato di doloroso e febbricitante imbarazzo, anche se a mio avviso vengono fornite ampie aperture “indicative” per permettere di “agganciare” la chiave di lettura più attendibile degli avvenimenti, grazie all’andamento assolutamente controcorrente rispetto a quello normalmente seguito dalle consuete pellicole che trattano di esorcismi, a cominciare appunto dal recente (e grandguignolescamente unidimensionale) “Esorcismo di Emily Rose” ispirato molto hollywoodianamente allo stesso episodio. Entrambi i films rievocano infatti “a loro modo” il caso di Anneliese Michel, una ragazza tedesca morta nel 1976 per consunzione e prostrazione fisica, dopo una serie di esorcismi, preghiere e digiuni finalizzati a liberarla del “male” che si ipotizzava si potesse essere impossessato della sua anima. Come già accennato, in “Requiem” la verità di questi fatti è rielaborata e amplificata attraverso la visione di una “ricostruzione” attendibile ma autonoma, chiaramente di finzione, ma “realisticamente concreta” (anche il nome della protagonista è modificato in Michaela) realizzata con uno stile asciutto, molto appropriato e pertinente che non lascia alcuno spazio alla spettacolarizzazione degli eventi. Rispettata l’ambientazione non solo geografica (una piccola cittadina della Germania del Sud), ma anche temporale (gli anni ’70) viene quindi presentata alla spettatore la storia di questa ventunenne molto conflittuale affetta da “inaccettate” crisi epilettiche malamente tenute a bada con forti dosi di pesanti farmaci e cresciuta in una famiglia profondamente religiosa fra un padre premuroso e disponibile ma troppo debole e una madre fredda, ansiogena e distante, bacchettona fino all’inverosimile e per questo incapace di sostenerla nel suo legittimo desiderio di crescere e diventare donna trovando finalmente la sua autonomia personale. Vinta una borsa di studio, la ragazza, contro il volere della madre e sorretta solo dalla flebile condiscendenza del genitore, si trasferisce nel collegio universitario di Tubinga a studiare pedagogia. Qui scoprirà una dimensione diversa e più umana di quella della soffocante vita della provincia, si aprirà a nuove e importanti amicizie e persino a un precoce innamoramento giovanile fra baci, carezze e inevitabili trasgressioni che rappresentano semplicemente il necessario appropriarsi della propria sessualità ma che verranno vissuti con assoluta conflittualità interiore. Potrebbero esser questi i primi barlumi di una presa di coscienza che rappresenti la “liberazione” da quei dettati ideologici fortemente oppressivi che la condizionano, ma purtroppo ogni concessione alla propria anelata libertà finirà per scontrarsi con il suo claustrofobico senso del dovere che la porta a vivere lo studio come un’ossessione e peggio ancora, a considerare la sua femminilità che sta sbocciando come una tremenda colpa da punire e reprimere… ed ecco che nel suo corpo, dentro al suo cervello, “rinasceranno” prepotenti le voci sinistre e punitive che già l’avevano ossessionata in passato, ritorneranno incessanti e persecutorie, si amplificheranno fino a far entrare definitivamente in rotta di collisione la sua spiritualità con le implapabili “immaginate” presenze demoniache dalle quale si convince di essere posseduta e devastata e alle quali preferisce attribuire la responsabilità del fallimento della sua esistenza. La paranoia ossessiva crescente la porterà a contrapporsi con sempre maggiore insofferenza con le rigide imposizioni materne e il senso di colpa che la corrode per le “concessioni” immonde che si è fatta saranno così disturbanti da portarla progressivamente a perdere la capacità di pregare e a provare perfino un senso di repulsione verso quel rosario “innocente” che la madre le aveva regalato per difenderla dalle cadute e dalle tentazioni. Disagio adolescenziale, devianza psichica verso la malattia o ipotetica “effettiva” possessione demoniaca? Sarà verso quest’ultima ipotesi che la spingerà un giovane prete che ritiene di “possedere il verbo”, nonostante le perplessità del sacerdote più saggio e attempato, aiutato da una famiglia che non vuole vedere e soprattutto dalla personale, inestinguibile “vocazione” al martirio emulativo della ragazza che si configura nella visione mistica della vita delle sante “perseguitate” e tentate e si rapporta nella redenzione del loro percorso misticheggiante tramandato dalle storie romanzate che costituiscono il bagaglio della sua inossidata devozione fideista… E allora, nonostante i premurosi e inascoltati richiami alla vita dell’indomita amica corsa in suo aiuto, per Michaela si prospetterà inevitabilmente la caduta verso il buio… La storia si ferma prima dell’inizio del calvario degli esorcismi estremi e la conclusione è didascalicamente affidata a una frase che “racconta” il terribile, inevitabile esito del percorso. Quello della possessione è un tema percettivamente potente che il cinema ha spesse volte esaltato, ma che viene rifiutato in toto, da Schmid(persino “negato”). Il regista infatti sceglie con acuta intelligenza e raro senso della misura, una strada più impervia e meno “travolgente”, intimista e “privata” tutta interiore che non estremizza, ma fa ugualmente percepire tutta l’angoscia profonda di questa “perdizione mentale”, e il suo modo di raccontare, è capace di farla crescere a dismisura fino ad invischiarci totalmente e a farci avvertire come veritiera (come del resto lo è per Michaela), questa “minaccia esoterica” che incombe, proprio perché così distanti dal paranormale appaiono i demoni del suo subconscio, simili a delle alterazioni che un bravo psicologo allertato alla bisogna, avrebbe potuto reprimere e annullare senza tragiche conseguenze. A noi e solo a noi è qui demandato il compito di “razionalizzare” e riprendere il filo, rapportandoci a quella cosa che chiamiamo “normalità” e che spesso è soltanto una sfuggente illusione. Entusiasmante e sorprendente la grandiosa prova della protagonista Sandra Hüller – giustamente premiata a Berlino – che fornisce il necessario spessore al personaggio affidatole e la giusta dimensione realistica alle crisi che deflagrano sempre con maggiore potenza devastante spesso dopo ogni nuova presunta trasgressione che ha portato ad “infrangere le regole”. Ottimi anche tutti gli altri interpreti con un menzione particolare per Karl Klinger. Un film da non perdere assolutamente dunque, purtroppo fortemente penalizzato da una distribuzione inadeguata e carente che lo sta emarginando, rendendolo quasi “invisibile”.

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