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Rosatigre

Regia di Tonino De Bernardi vedi scheda film

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La recensione su Rosatigre

di OGM
10 stelle

Nell’attesa delle certezze finali, o meglio, in assenza di quelle assolute, l’individuo può scegliere di definirsi, per sé e per gli altri, per mezzo di quello che non crede di essere, o non sa di desiderare. L’ambiguità di Rosatigre, il travestito napoletano trasferito a Torino, molto innamorato di un uomo e forse anche un po’ di una donna, che aspira a partire, ma poi torna per restare, è la natura di chi sceglie di abbandonarsi al proprio disorientamento, facendone la base di un tragico ed autoironico gusto per la vita. Le sue danze con le parrucche colorate ed i vestiti di lustrini sono uno spettacolo offerto a chi guarda (e forse non c’è, o forse non lo ha chiesto) ma sono talmente chiuse dentro un ermetico narcisismo da risultare un beffardo modo di negarsi. La sua rabbia nei confronti di un mondo distante, e refrattario alle figure fluttuanti e indistinte, si trasforma così in una gioia capricciosa, in una civetteria che si bea di una bellezza che nessuno capisce e che, al limite, è disposta a vendersi, però non ha nessuna intenzione di donarsi. Il suo habitat è una penombra solitaria, che dà rifugio ad una tormentata idea di libertà, il cui spirito indomabile è la spudoratezza di vivere per se stessi, a prescindere dagli altri, e a dispetto della propria parziale invisibilità. È forse questo il motivo per cui l’intimità di Rosatigre ci viene presentata come una stravaganza osservata attraverso lo spioncino di un peep show: un gioiello kitsch e scalmanato che si può vedere, però non si può toccare. Appariscente è una seduzione che forse è solo una pratica mercenaria, forse è solo un personale volo della fantasia; inconfessabile e nascosta è, invece, la tenerezza, come nel gioco della  mosca cieca, in cui ci si sfiora con gli occhi bendati. Tutto il resto si riduce ad una semplice partecipazione alla convenzionale frivolezza/serietà del vivere sociale, alla cortesia e alla convivialità che sono rette da precise norme comportamentali e fondate su precisi codici linguistici, quando ci si siede a tavola, quando si entra in un negozio, quando ci si incontra per la strada, quando si festeggia il Capodanno, e anche quando si parla d’amore. Si scherza, si conversa, si balla insieme, ma non è come quando si è completamente padroni dei propri movimenti e dei propri pensieri, quando si è registi di se stessi a tutti gli effetti, dirigendo in piena autonomia i propri gesti e la propria immagine. Rosatigre si rivela a noi privatamente, attraverso singoli coreografici autoscatti;  in essi, i riferimenti alla prostituzione sono solo le metafore di una dimensione proibita ed ineffabile, che, come ogni ribellione interiore, è rumorosa e sgargiante solo nel segreto.  Rosatigre  ci porge la trasgressione come la sincerità del séparé, che non ospita i sussurri di unioni clandestine, bensì le grida di solitudini più che legittime, impugnate come variopinti manifesti del diritto ad esistere.

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