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Passe ton bac d'abord

Regia di Maurice Pialat vedi scheda film

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Utente rimosso (SillyWalter)

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La recensione su Passe ton bac d'abord

di Utente rimosso (SillyWalter)
7 stelle

 

locandina

Passe ton bac d'abord (1979): locandina

 

      La voce di un professore di filosofia esordisce con un'introduzione alla sua materia: primo disimparare, poi l'importanza di fare domande, e la necessità di un rapporto con l'insegnante. Le immagini sottostanti scelgono tutt'altro percorso e inquadrano il legno scarabocchiato e inciso dei banchi degli alunni, su cui procedono cuori, facce sorridenti, un pugile, una testa punk, e due distinte parole: "anarchia" e "amo". 

        Nel suo secondo film Pialat ricostruisce con stile semi-documentaristico la vita di un gruppo di ragazzi all'ultimo anno delle superiori (passe ton bac d'abord = prima passa l'esame di maturità). Siamo a Lens, desolato nord-est francese, alla fine degli anni '70. Le uniche distrazioni in città sono trovarsi al bar, chiacchierare, flirtare a casaccio e seguire i propri imperiosi ormoni. Bernard è il più attivo, cambia spesso ragazza e la scuola non sembra frequentarla molto. Elisabeth ha la nomea di quella che predilige ragazzi coi soldi e che ne gira molti, ma all'improvviso s'innamora di Philippe, chiude con gli altri e lo porta a casa dai genitori, che finiscono per andare d'accordo più con lui che con la figlia. Agnès è amica e amante di Bernard ma decide di sposare in fretta e furia Rocky perché tanto il diploma non serve a niente, non ne può più dei genitori e Rocky ha un buon lavoro. Altre accettano passivamente quello che viene. Altri partono per Parigi. 

 

 

        È raro che l'adolescenza venga osservata e riproposta con così tanta asciutta onestà. E fa un certo effetto pensare che questo film anticipa di un anno lo sdolcinato IL TEMPO DELLE MELE(nsaggini), quasi come un vaccino preventivo. Lo spaccato di PASSE TON BAC D'ABORD è quello di un'età anarchica fatta di personalità non ancora formate, che neanche hanno incominciato a interrogarsi su cosa potrebbero essere e che tutto in una volta si trovano forzate a rispondere a nuovi impulsi emotivi e sessuali, a litigare quotidianamente con i genitori, a prendere decisioni chiave per il futuro in maniera istintiva, a doversi sperimentare in un gruppo, unica cosa che sembra dar loro accettazione incondizionata e identità. 

        È una Francia periferica e proletaria, piccole vite lasciate accadere. L'adolescenza qui è un tumulto poco eroico che coglie impreparati figli e genitori insieme. "Prima passa l'esame di maturità": anche il titolo sembra dirci che i genitori non sono maestri e si attendono che i problemi della crescita si presentino ordinatamente al termine del percorso scolastico. E del resto neanche i maestri fanno i maestri. Proprio il professore di filosofia, che predica di fare domande e di instaurare un rapporto alunno-insegnante, quando è da solo con Elizabeth non trova di meglio che domandare se lei e il suo ragazzo scopano. Gli adulti sono inadeguati, stagnanti. I ragazzi invece sono realisticamente impacciati e un po' ridicoli nel loro atteggiarsi (e con le prime fioriture di baffetti coltivate con cura...), ma Pialat li guarda con simpatia e obiettività senza distribuire colpe o farne modelli negativi. Li osserva a distanza nel loro turbine di esperienze gioiose e deludenti, negli slanci di spastica vitalità, e dà loro un ampio ventaglio di percorsi mai definitivi. Il tono complessivo è, anzi, il più lieve e il più sorridente dell'intera filmografia di Pialat, a indicare probabilmente il suo istintivo favore nei confronti dell'esuberanza scervellata ma aperta alle possibilità di quell'età.

 

 

        Quello di Pialat è uno sguardo spoglio e antiretorico che sfugge stereotipi, favole e personalità incasellate. Il playboy Bernard sa essere amichevole, dolce e imbarazzato e, come tutti, non prevale nè può prescindere dal gruppo. Elisabeth è molte cose insieme: flirta con tutti e poi s'innamora, litiga furiosamente con la madre e poi si appoggia a lei in cerca d'affetto come una bambina. E ancora, quando arriva il destino da favola sotto forma di un talent scout che offre alla sedicenne Valerie un lavoro da modella, i genitori dicono no, senza discutere. Non è quel tipo di ambiente e non è quel tipo di film. E come le favole anche i drammi si riassorbono spesso senza determinare gli accenti che ci attenderemmo dalla finzione e senza dare tragica grandezza alle figure. Tagliando picchi, enfasi e protagonismi si corre ovviamente il rischio di prendere un po' troppa distanza dal soggetto e forse in più di un'occasione il quadro sembra fin troppo veloce e volatile per rappresentare l'intensità di certe emozioni adolescenziali, ma è forse il costo inevitabile di una rappresentazione oggettiva che punta alla visione d'insieme di un inizio caotico di vita adulta. 

 

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