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L'ingorgo - Una storia impossibile

Regia di Luigi Comencini vedi scheda film

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La recensione su L'ingorgo - Una storia impossibile

di lorenzodg
8 stelle

Luigi Comencini è (stato) uno dei 'grandi registi italiani' attraversando le storie di più generazioni...passando da un neorealismo (post) a un realismo-rosa, da microstorie-sociali a vicende surreali, da drammi familiari a favole-ammirevoli, a ricostruzioni di vita fino a commedie-amare (uno dei pochi, se non l'unico a riuscire a passare diverse angolazioni della vita del piccolo e grande schermo). Certe volte (e più) il suo stile documentaristico (acido, asciutto, sagace, introspettivo e.. leggero) fa rientrare in un canone unico (una commedia come richiamo -ma il termine usato in positivo-) il percorso delle sue pellicole dove il richiamo alla vita semplice, schietta, sincera e pastosa è parimenti grande...in parallelo alle sue carrellate e alle sue facce (nell'immaginario di altri).
Questa pellicola del 1979 ("L'ingorgo") racchiude molti schemi comenciniani con un'amarezza di fondo veramente fuori da ogni retorica. L'inizio preme subito su tale aspetto e le microstorie con i vari personaggi racchiudono un dibattito condominiale in autostrada (o un percorso della vita che è) che manfesta la pochezza esteriore dell'uomo racchiuso da meccanismi (consumismo) e metafore (arraganza) già post-moderne dove lo scontro, il parlare e i gesti diventano speculari di un'interiorità vuota di argomenti (pagare una bottiglia, la perdita delle chiavi, l'uso smodato del telefono -quasi un post-anticipo del fare oggi e del cellulare come unico o quasi espediente per parlare soli e con gente sola-, la famiglia visto nel distrutto-quotidiano, il cortile che diventa un finestrino, le auto che racchiudono il mistero umano....). Tutto questo con un affronto dirompente e scontroso, allegorico e traumaturgico...dove le 'passate' del regista sono imbevute di un cinema contro-neorealista...e alla ricostruzione interiore post-bellica si ha..nel breve volgere di pochi decenni...nella ricostruzione interiore post-moderna (già visibile nella piattezza delle immagini, nello schiacciamento della ripresa e nella musica 'monocorde' di Carpi). Si deve dire che il cast (assolutamente il richiamo di 'tutto il divismo' o 'di quello che rimane' in una schiera di attori-trici di grande inpatto e suggestione) è un ptesto (voluto) e dà la sensazione di un pre-finale di un certo cinema italiano e di quello che si racconta (dejà vù acre e di un colpo allo stomaco che in una microstoria di pellicola racchiude la sua 'liquefazione'). Ognuno partecipa alla trama mettendo il suo e il riussunto generale è di grande emozione-lacerante. Gli elicotteri, il contorno, gli esterni. i personaggi minori, il mondo non visto e le bandiere lontane sono trame di vite spostate....in una autostrada dove il regista aspetta (con pazienza e fiducia) tutti (tutti quanti noi) con grandi fratelli (che aspettano) divenuti oramai una postura falsa di un mondo rientrato in uno schema tv (di ogni auto) già traditrice e priva di argomenti. Le chiavi di casa (e il suo nucleo) sono per sempre perdute...fanno vedere dopo che siamo rimchiusi /ma eravamo già tutti lì...aperti di vane ingordigie...sul set di un cinema che fu (apologia pellicolare contro-appariscente e assordante). Tutto il cast è straordinario, libero di esprimersi, dove il copione viene marcato dalla sceneggiatura operante di-fronte ed ogni lezioso-divo ripone la sua verve dolciastra sputando nel piatto........). Grande regia di Comencini. Voto 8/9.

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