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Le occasioni di Rosa

Regia di Salvatore Piscicelli vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Le occasioni di Rosa

di Spaggy
10 stelle

Ci sono certi film che con il passare del tempo rivelano ancora di più la loro portata semantica. Girato quasi 30 anni fa, “Le occasioni di Rosa”, secondo lavoro di Piscicelli, meriterebbe di essere scoperto alla luce delle trasformazioni socioculturali del terzo millennio.
 
Così come nel mondo dell’arte il passaggio tra impressionismo ed espressionismo ha contribuito all’accrescere del senso di acriticità, dello sguardo non inficiato dalle emozioni del soggetto e dalle sue impressioni sull’oggetto scrutato, il film ha contribuito alla genesi di un filone quasi documentaristico ponendo uno scorcio fotografico sulla periferia in evoluzione tra il finire degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta. Periferia abitata e vissuta da giovani allo sbando, che si lasciano vivere dalla vita senza opporsi o lasciare la loro impronta distintiva. Giovani per cui il guadagno facile è più attraente del guadagno legato allo sforzo lavorativo che li avrebbe nobilitati, giovani per cui il piacere è l’unica guida spirituale in un mondo in cui il progresso si insinua come processo di confusione e rimescolamento dei valori e dei generi. Il loro piacere è fatto di tantissimi vizi e poche virtù, di credenze sovvertite proprio perché instabili come le nuove aree cittadine in cui inevitabilmente coabitano elementi ed individui di diversa estrazione, dal piccolo borghese al transessuale, dall’operaia allo spacciatore. Una periferia o un hinterland fatti di grigi palazzoni tutti uguali e di fabbriche che prendono il posto dei vecchi casolari in nome di un processo di industrializzazione che diffondendosi a macchia d’olio lascerà in eredità nuovi feticci consumistici.
 
Le trasformazioni socioculturali riflettono la confusione del periodo: una società che viene fuori dalla contestazione del ’68 e che si affaccia al consumismo tipico degli anni Ottanta. Ogni cosa diviene simbolo: dalla cucina all’americana che Rosa sceglie per la sua casa matrimoniale (cucina di cui non sa quali vantaggi o svantaggi può apportarle) alla televisione a colori  eretta a simbolo della nuova ricchezza agguantata (televisione sempre più presente fino ad annullare il dialogo tra i due protagonisti), dall’offrire un aperitivo al cliente di turno (bottiglie di alcolici presenti in casa nonostante manchino poi i soldi per comprare la cena) all’ultimo modello di motocicletta americana (usata come merce di scambio per conquistare i favori di letto). Quanto siamo distanti dalla società di oggi?
 
Il mondo degli anni Duemila si è trasformato in una macroperiferia grazie alla rivoluzione della tecnologia informatica: esiste un grande centro, il web, dal quale si diramano infinite periferie individuali. Internet e i social networks hanno sostituito in buona parte la televisione e la diffusione culturale ad essa riconducibile. Oggi come allora il sentirsi parte integrante di una società, per essere socialmente accettati, occorre uniformarsi attraverso l’ostentazione di oggetti feticcio, simboli di un nuovo benessere attraverso i quali si esibisce e sottolinea il passaggio da una classe all’altra, da una categoria sociale ad un’altra. I corsi e ricorsi storici riportano attuali la confusione sessuale dei giovani producendo una profonda spaccatura tra “apocalittici e integrati”, tra chi risponde al progresso adattandosi e chi invece si oppone isolandosi. Si assiste ad una nuova versione dell’individuo proiettato verso l’esteriorità: il miscuglio, il meltin’ pot dato dalle nuove espansioni metropolitane degli anni Ottanta non si discosta dal meltin’ pot di oggi.
 
Dire che lo sguardo di Piscicelli riguarda soltanto la realtà napoletana in cui il film è inserito è limitativo. Napoli potrebbe essere Milano, Palermo o Los Angeles. Non c’è alcun elemento che caratterizza la città, nessuna rappresentazione folkloristica, nessuna tendenza al melodramma o alla sceneggiata, niente pizze e mandolini, il mare e il Maschio Angioino compaiono solo una volta in tutta l’opera ma come meri elementi di contorno.  Anche la luce stessa usata dal regista non è la classica luce di Napoli, in tutti gli esterni non si ha mai la percezione della luce solare, l’ambiente rispecchia il grigio dei nuovi palazzi, dei nuovi casermoni. Le luci degli interni sono sempre eccessivamente artificiali, solo neon o lampade gialle.
 
L’idea del documentario è sempre presente: mai uno sguardo soggettivo sulle situazioni vissute, nessun giudizio morale alle vicende narrate, in cui non esistono ruoli prestabiliti. L’assenza di soggettività rende in chi guarda la sensazione di assistere ad una storia che si svolge fuori dalla propria porta, come se ognuno da dietro le proprie persiane potesse trarre la sua opinione senza bisogno di un opinion leader che dia le direttive da seguire, senza che qualcuno detenga la verità assoluta su cosa è giusto e cosa è sbagliato. Le storie sono frammentate, si spostano da un protagonista all’altro, come se ognuno si raccontasse nel salotto di un talk show televisivo senza che ci siano gli Sgarbi o le Mussolini di turno a pontificare.
 
“Le occasioni di Rosa” sono le occasioni mancate dalla ragazza, sono le occasioni che non ha voluto prendere ma non perché non sapeva prenderle. Spesso si dice che il film parli di Rosa indicandola come prostituta ma si nasconde che Rosa è una prostituta anomala: svolge quel lavoro saltuariamente, quando ha necessità di soldi per soddisfare le proprie esigenze personali, per comprare della droga, per racimolare gli spiccioli per andare a fare una gita ai Campi Flegrei con un amico. E quel lavoro è condiviso con amici e fidanzato. Si è subito portati a pensare che la vita non le offrisse altro e invece sin dall’inizio Rosa stessa ci dice che lei lavorava in fabbrica con la madre, che si è licenziata e che lì non vuole più tornare.
 
Il mondo di Rosa è fatto di compagnie al margine della società: transessuali e protettori, spacciatori e ladruncoli. Disadattati adattati alle nuove esigenze, all’esibizione invidiata da Rosa e riassunta in pochissimi elementi: un vestito rosso fiammante invidiato al transessuale più bello e la casa con televisore in camera da letto dell’omosessuale borghese.
 
Rosa ha scelto la via più semplice come il proprio fidanzato, Tonino: nonostante lavori in uno “scasso”, il giovane preferisce i vantaggi che gli provengono dalla microcriminalità o dalla vendita del proprio corpo oggetto delle attenzioni di un signore di mezza età, Gino, borghese, che garantisce una vita al di sopra delle possibilità sia a Tonino che a Rosa. Sogno dell’omosessuale è avere un figlio da Tonino, non importa chi sia la madre. Il bisogno di normalità a Gino è garantito dal mostrare il suo feticcio, il bambino, e per ottenerlo non bada a spese nel comprare e arredare casa ai due giovani, nel sostenere i costi della cerimonia del matrimonio e nell’acquistare un garage per offrire un futuro lavorativo a Tonino.
 
Ma “Le occasioni di Rosa” sono anche quelle che le si prospettano dopo la sua scelta finale quando finalmente comincerà a vivere, smettendo di farsi vivere. La scelta dell’aborto, difficile e dolorosa, le renderà indietro le libertà che i compromessi le avevano rubato, riportandola ad una dimensione più intimista. Rosa si scoprirà autrice del proprio destino e questa nuova concezione colpirà anche Tonino, finalmente consapevole di quale futuro vuole per sé.
 
Mentre tutto il cast soffre del fatto di essere composto da principianti, è l’interpretazione di Marina Suma, anch’essa esordiente, a rendere Rosa credibile anche nei suoi eccessi. Una bellezza colta in fiore, uno sguardo mai eccessivo anche quando la scena lo sia. Il portamento della Suma nella passeggiata iniziale tra i casermoni grigi, nella sua maglia rossa e gonna ghiaccio, rende evidenti i contrasti tra lo sfondo metropolitano violato e la forza solida del personaggio. E il rosso è il colore che caratterizza Rosa in ogni momento di trasformazione o decisione: dal rosso iniziale a quello delle calze a rete quando si prostituisce, dal rosso dello smalto che si fa applicare ai piedi da Gino al rosso del cappotto scelto per recarsi in clinica ad abortire.


Uno spaccato antesignano, padre della stessa periferia raccontata da Saviano, e di conseguenza da Garrone, in "Gomorra".

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