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Una volta ho incontrato un miliardario

Regia di Jonathan Demme vedi scheda film

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La recensione su Una volta ho incontrato un miliardario

di maso
8 stelle

 

Il sogno americano è ancora possibile o è ormai mera utopia? Forse non è mai esistito in quanto sogno.

Questa invenzione o fantasia idealizzata che dir si voglia ha per anni gironzolato nella mia mente, esattamente nel deposito dei punti interrogativi, non riuscivo a dargli un significato preciso e anche domandando non mi venivano fornite risposte esaudienti, per schiarirmi le idee e togliermi ogni dubbio c’è voluto questo bel film di Johnatan Demme praticamente sconosciuto alla nostra latitudine e vergognosamente trascurato dai palinsestisti italiani, già perché se ci fosse un concorso a premi su quale film meglio definisce l’idealismo e la vacuità del sogno americano lo vincerebbe proprio “Melvin and Howard” o se preferite il titolo italiano “Una volta ho incontrato un miliardario” assolutamente calzante ed appropriato.

Il fatto che la sceneggiatura originale da Oscar di Bo Goldman si basi su fatti in parte ipoteticamente accaduti ci suggerisce che il sogno americano sia altrettanto ipotetico, o almeno in parte, vi si narra infatti la storia di Melvin Dummar, interpretato splendidamente da Paul Le Mat, abilissimo nel dare al suo personaggio quella dimensione di bravo ragazzo affettuoso con i suoi cari ma anche tremendamente semplice e palesemente incapace di muovere un passo sul gradino successivo della scala gerarchica sociale tanto da farci stare assolutamente dalla sua parte alla fine della storia e di escludere senza alcun dubbio che possa aver architettato la truffa che molti gli attribuiscono, Melvin fa l’operaio a Las Vegas e vive in una roulotte con moglie e figlia sognando da buon americano una vita più agiata in una bella casa, con una bella macchina e ovviamente qualche soldo in più ma come detto è un semplice che scrive canzoni di natale con l’idea di racimolare qualche soldo e quando una notte in viaggio verso casa con il suo furgoncino carico di carcasse di refrigeratori si ferma nel deserto per un bisognino non può immaginare neanche chi sia quell’uomo che giace dolorante a pochi metri da lui, dopo un attimo di esitazione la sua indole di bravo ragazzo lo porta a soccorrere quel vecchio che ha tutta l’aria di essere un barbone chi sa come finito in quel luogo così isolato, dopo averlo caricato inizia fra i due una chiacchierata dai toni distesi canticchiando canzoni finché il bizzarro passeggero si qualifica con il nome di Howard Hughes ma Melvin non da l’impressione di aver colto la sfumatura tanto che sembra assorbire tale affermazione come uno scherzo o una pacconata di quel barbone che non sembra passarsela bene, in realtà quelle poche ore insieme terminate in una Las Vegas tanto desertica quanto addormentata si riveleranno l’episodio centrale della sua vita che esploderà non prima di nove anni dopo ed è significativo l’ultimo gesto prima di salutarsi con Howard che chiede a Melvin qualche spicciolo quasi per metterlo alla prova del buon samaritano che pur avendo quattro soldi in tasca li dona a chi non ha neanche quelli, un gesto di sincera generosità e purezza d’animo che il mastodontico Howard Hughes porterà sempre con se fino a contraccambiarlo con le dovute proporzioni.                          

Questo preambolo di una ventina di minuti sembra autoescludersi dal lungo tronco centrale del film ma in realtà serve a Demme per porre la base su cui sviluppare la storia che si ricongiungerà con questo incipit nella parte conclusiva e mettere in mostra la proverbiale immensa classe di Jason Roberts alla sua terza candidatura all’Oscar come attore non protagonista nei panni di Howard Hughes, statuetta che sfiorò e sarebbe stato un risultato storico visto che le altre due gli furono assegnate rispettivamente per “Julia” di Zinnemann e “Tutti gli uomini del presidente” di Pakula.

L’attenzione da qui in poi è tutta rivolta a Melvin e al suo continuo ricominciare da capo, Demme fa una scelta ben precisa raccontando l’America popolare con uno stile assolutamente non americano  mescolando però la commedia con un genere fortissimamente a stelle e strisce come il road movie per mettere in mostra una fantasia nelle inquadrature pregevolissima: diversi campi lunghi che vanno dallo zoom out iniziale sul deserto dove Howard Hawks saltella di duna in buca con la sua moto pervaso da una irrefrenabile gioia di vivere all’altrettanto irrefrenabile esplosione di gioia di Melvin che come il lago di fronte a lui sembra essere immensa dando l’impressione che il sogno americano può avverarsi davvero anche per un uomo qualunque privo di talento ma di grande bontà, l’ondeggiante camera a mano che lascia intravedere cosa c’è scritto sulla misteriosa lettera che Melvin si ritrova sulla scrivania, la soggettiva appena velocizzata di Melvin che si introduce come un fantasma negli uffici del tribunale conclusa con una sbirciata fugace ad una rivista, ma queste sono solo le sequenze più vivaci ideate da Demme in una già ricchissima conduzione del film e del suo cast pieno di caratteristi di rango fra i quali spicca una inarrestabile e un po svampita Mary Steenburgen nei panni della signora Dummar che pronti via lo molla e fugge a Reno a fare la spogliarellista sfoggiando un nudo integrale davvero niente male, poi ritorna per il matrimonio bis, altra scena impaginata con leggerezza europea da Demme che fa da contrappunto a quella americanissima del tv show dove finalmente la precaria famiglia Dummar vive il suo momento di gloria, preludio di un nuovo rovescio per Melvin che però non fa spallucce ripartendo nuovamente da capo cambiando luogo, città, lavoro e l’intera famiglia.

La stazione di rifornimento nei pressi di Salt Lake City diventerà la terra promessa per Melvin che in un attimo si ritroverà dalla base della piramide in cima ad essa avvolto in una bolla di sapone scoppiata dall’invidia e la malafede di tutti i ceti sociali che sembrano ora guardarlo dal basso come  giudici sospettosi, avvocati assatanati e clienti squilibrati che si fermano alla stazione di servizio per puntargli la pistola in faccia e bollarlo come un ciarlatano perché per loro il povero Melvin non ha mai incontrato un miliardario come Howard Hughes.

La parte conclusiva della storia è un segmento un po troppo breve per l’importanza che ha nell’economia del film ma possiede comunque il dono dell’essenzialità come l’eroe per caso Melvin Dummar che afferma fiero di dire il vero e che tutto l’oro del mondo non vale il ricordo di Howard Hughes che canticchia sorridente la sua canzone natalizia seduto nel suo furgoncino.

A quanto pare sia per uno che fabbrica sogni come Demme sia per gli americani che li producono il sogno nazionale deve rimanere un ideale perché sogno in quanto tale, cibo per far girare le pale ma non sia mai per arricchirsi tanto. 

Jonathan Demme

Grandissimo talento nel raccontare una storia tutta americana con uno stile che si rifà fortemente al Free Cinema e alla Nouvelle Vogue, non è un caso che sia uno dei film preferiti da Paul Thomas Anderson che per Magnolia o Boogie Nights ha preso molto allo stile di Demme in questo suo primo lavoro importante per una major hollywoodiana.

Jason Robards

Poco screen time ma molto significativo: da grande spessore ad un personaggio che aleggia nel film quasi come un fantasma.

Paul Le Mat

Mi era piaciuto moltissimo in "American Graffiti" e "More American Graffiti" ed è anche qui bravissimo nel far emergere il carattere buono, ingenuo e inconcludente di Melvin Dummar tanto che non si può non stare dalla sua parte ma nella realtà il vero Dummar è veramente così? Perchè molti lo hanno bollato come un impostore? Invidia? Antipatia? Chi lo sa?

Mary Steenburgen

Un Oscar meritatissimo per la ex signora McDowell, nel primo tempo del film è protagonista tanto quanto Le Mat e dimostra doti interpretative di grande completezza: espressione del corpo, ballo, tempistica perfetta nel pronunciare le battute, disinvoltura nel mostrarsi nuda, espressione facciale, simpatia, connotazioni caratteriali espresse con grande naturalezza.

Davvero bravissima ad accettare un ruolo perfetto per lei ma altrettanto bravo Demme a sceglierla.

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