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Il testamento del mostro

Regia di Jean Renoir vedi scheda film

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La recensione su Il testamento del mostro

di Peppe Comune
8 stelle

Il dottor Cordilier (Jean –Louis Barrault) è uno psichiatra che gode di molta fama negli ambienti dell’alta società cittadina. Decide di ritirarsi per dedicarsi completamente ad una ricerca scientifica che lo ha tenuto impegnato per anni. Si tratta di perfezionare gli effetti di una pozione speciale che consentirebbe di effettuare lo sdoppiamento della personalità.

Ispirandosi a "Lo strano caso del dottor Jekyll e mister Hyde" di Robert Louis Stevenson, Jean Renoir svolge una lucida riflessione sulla complessità della natura umana con un film dove l'intreccio tra un'atmosfera tipicamente noir e la tendenza verso il grottesco servono per dare all'intera struttura narrativa una evidente carica antiborghese. E' Cordelier la pietra angolare delle riflessioni del maestro francese. Il grande psichiatra di fama mondiale, l’organizzatore rituale di serate di gala in cui sono presenti le più influenti personalità della società civile cittadina, lo scienziato che, ormai stanco di recitare un ruolo sociale che sente sempre più come una gabbia, di soffocare nel perbenismo di facciata i suoi istinti più intimi e perversi, sperimenta su se stesso i frutti di anni di studio. Cordilier cerca di ottenere la materializzazione della psiche e dopo molto sperimentare riesce nell'intento di trasformare se stesso in Opale, un uomo goffo e cattivo che ne rappresenta la proiezione peccaminosa, l'essere assolutamente libero da ogni vincolo e orpello sociale, da ogni necessità di ostentare un fare socialmente rispettabile. "Io sono un ipocrita, la mia apparenza di dignità, di virtù è solo una menzogna, una menzogna che dissimula i più bassi istinti, la più abominevole sete di perversione. Per anni ho concentrato tutte le mie forze a lottare contro la mia seconda natura". Questo è quanto Cordelier confessa al suo grande amico Joly (Teddy Bilis) per mezzo di una registrazione incisa sul nastro. E' il momento della resa dei conti, quando Cordilier veste i panni di Opale e il dottore, per ridiventare se stesso, deve prendere una dose sempre più massiccia di siero, quando la parte cattiva ha preso nettamente il sopravvento e le due entità ormai si sono fuse, mischiate in un insieme di sensazioni dove diventa sempre più difficile distinguere il vero dal falso, l’azione solo pensata da quella realmente praticata : la teoria dalla prassi. E’ in questo preciso momento che Cordelier/Opale acquista la consapevolezza di porre fine ad una situazione che gli è sfuggita di mano, di tentare una ribellione estrema contro il doppio ricatto che gli ammazzato gli ultimi brandelli di libertà autentica che ancora possedeva : dall'ipocrisia borghese da un lato e della deriva liberticida dall'altro. Opale, l'uomo libero dai condizionamenti della morale borghese, si rende artefice di gesti di una violenza tanto gratuita quanto efferata, e il sospetto sempre più fondato che sia, non solo un semplice strumento usato da Cordelier come per giocare a togliersi a proprio piacimento la maschera soffocante del perfetto gentiluomo, ma l'incarnazione stessa della sua coscienza sporca, dei suoi desideri incofessabili, di ciò che intimamente vorrebbe far accadere veramente, si trasforma in un peso insopportabile sotto cui soccombe finanche la sua alterigia di scienziato che ha giocato a manipolare la mente umana. Come recita Renoir nel finale del film,"Cordelier aveva pagato con la vita l'ebrezza della sua incredibile avventura compiuta scientemente aldilà dei confini del bene e del male". Grande Jean-Louis Barrault nella doppia veste Cordelier/Opale, grande Renoir e grande film. 

 

 

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