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Un tipo cattivo - Bad Guy

Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film

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La recensione su Un tipo cattivo - Bad Guy

di EightAndHalf
8 stelle

Quando il simbolo non è ancora allegoria. 
La scoperta del sentimento passa attraverso la catarsi artistica (cinematografica e non), e affronta un reale in cui non riesce a germinare più alcun ideale. Non è una forzatura pensare che tutti i primi film di Kim passino attraverso questo percorso verso la vera civilizzazione (che coincide non con la ragione, ma con la capacità di commuoversi), un percorso che evita spettacolarismi ma, come in Bad Guy, si rende disturbante con violenze esibite e una sessualità sgraziata. In questa pellicola, di uguale importanza a Seom nella prima fase dell'opera del regista sud-coreano, il simbolismo comincia a farsi strada, come faceva, attraverso brevi scintille cromatiche e meta-artistiche, già in film precedenti. Bad Guy è frutto di una maturazione che ancora non ha raggiunto una sua precisa coerenza formale, nonostante l'eccezionale capacità, che si delinea fin da questo film, di costruire personaggi dal nulla, senza sottotesti comunemente ritenuti interessanti, senza parole inutili: Han-gi è il primo protagonista muto (o quasi) del cinema di Kim, dopo la protagonista di Seom. E' chiaro che il percorso, a chi conosce la successiva filmografia, porterà al mutismo di Ferro 3, in cui grazia orientale e sensibilità cinematografica spiccheranno il volo in maniera ancora più lirica che in Primavera, estate... Ma se vogliamo giudicare Bad Guy senza pregiudizi creati dalla visione delle opere successive, allora notiamo di certo in questa pellicola una crescita che si traduce in un romanticismo assurdo e straziante, al limite del grottesco, un affetto ancora più mostruoso che in L'isola, dove amore voleva dire condivisione di follia e di autoannientamento. Qui il rapporto fra Han-gi e Sun-hwa non si esplicita mai, si chiude in sipari onirici di grande intensità (nella spiaggia cadente di Birdcage Inn..), si nasconde sotto sguardi di sottecchi che attraversano una caotica Strada della vergogna, si rifugia dietro l'inconsapevolezza di uno specchio, che è il cinema disturbante/distorto e frantumato di Kim Ki-Duk. Palese, a questo punto, la riflessione sul suo stesso cinema, sulle esibizioni di un arte (come quella del citato Egon Schiele) che è pulsione sgradita, non è bellezza, è disturbo: un'impresa notevole nella tradizione spirituale di un'Oriente che solo nella facciata mostra normalità e civiltà, ma che ben presto si rivela covo di bestialità. Così si rivelano bestiali i rapporti umani, bestiali le implicazioni del reale, bestiali i sentimenti allo stato primordiale. 
Eppure i simboli (il voyeurismo, la bontà della donna silenziosa e suicida, le fotografie senza volto) mostrano un'incoerenza che non crea quella armonia dei contrari a cui Kim ci ha abituato, non tanto per la loro presenza improvvisa qui e lì nel film, ma per l'ostinazione e l'insistenza della loro rappresentazione. Può risultare un po' forzato il ritrovamento di simile difetto, ma è solo in questo che si rintraccia quella prolissità (inusuale in Kim) che non giova al discorso del regista. Ciò non toglie che Bad Guy ha aperto a Kim molte porte, e che per molti altri motivi è un film importante, universale, sincero, a tratti anche commovente nell'elaborazione di questo malsano amour fouL'isola però rimane un'opera superiore e priva di compromessi molto più che in questa.

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