Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film
In una scena del film viene scoperta una telecamera nascosta che filma gli incontri in un bordello; i due responsabili si giustificano dicendo che il padre di uno di loro è malato di cancro e loro hanno bisogno di denaro per farlo curare. Sarà autobiografico? Chissà quanti parenti terminali ha Kim Ki-duk per girare i suoi film guardoni. A me questo pare il peggiore. Di violenze sadomaso ormai se ne trova perfino nei telegiornali, non solo in internet, ci si provano anche bambini con i telefonini. Ma Kim Ki-duk sa vendere bene il proprio fumo lacrimogeno, lo arricchisce di simboli, lo porta ad estremi per renderlo più sconvolgente in modo che a criticarlo si rischia di apparire benpensante antiquato o insensibile. La “tenera favola” (qualcuno è arrivato a definirla così) della vittima che si innamora del carnefice non è nuova; la vedrei meglio in un trattato di psichiatria o di sociologia, ma, in questi come in un film, richiederebbe comunque, in modi diversi fra loro, una spiegazione, razionale nel trattato, appena suggerita nel film; qui invece non si suggerisce nulla, si spiattellano violenze. Apprezzate da chi uscendo dal cinema esclama radioso “che bello! Ho tanto pianto!”. Buon per lui. Poi Kim Ki-duk si è raffinato, e ho il sospetto che in alcuni film successivi abbia saputo farci meglio con trucchi più raffinati: ho lodato altri suoi film successivi, forse solo più abili…
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