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Il diritto di uccidere

Regia di Nicholas Ray vedi scheda film

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La recensione su Il diritto di uccidere

di fixer
8 stelle

Negli anni ’70, ci fu una rivalutazione generale della filmografia di Nicholas Ray, grazie anche all’entusiasmo della (solita) critica giovane francese. Si arrivò perfino a clamorose sconfessioni, come quella di Time Magazine che aveva bocciato il film in esame al momento della sua uscita. Oggi, Ray è un regista noto e amato dai cinefili ma poco conosciuto dai giovani. Il titolo originale IN A LONELY PLACE (Trad.:In un posto solitario), tratto da una frase del film, come al solito sostituito da uno molto stupido:PAURA SENZA PERCHE’ e rimediato poi con un altro ancora più sciocco:IL DIRITTO DI UCCIDERE, è tratto dall’omonimo romanzo di Dorothy Hughes, pubblicato tre anni prima.

E’ la storia di uno sceneggiatore in crisi, incapace di controllare i suoi accessi di collera. Questo problema gli causa guai, gli aliena amicizie e opportunità di lavoro, gli attira i sospetti della polizia, e soprattutto gli impedisce di realizzare una relazione amorosa con una vicina cui tiene molto.

In realtà si tratta di due storie, una è appunto la relazione con la vicina, la seconda è l’inchiesta su un omicidio di una ragazza che aveva trascorso qualche ora a casa del protagonista, Dixon Steele. Questo fatto e la sua incapacità di controllarsi sono indizi che la polizia ritiene gravi e lo mettono nella lista dei sospetti. Il film stesso, del resto, contribuisce a seminare dubbi sulla sua innocenza. Anche coloro che lo conoscono hanno dei dubbi e la stessa vicina, dopo un episodio in cui Dixon quasi stava per uccidere un automobilista accecato dalla rabbia per futili motivi, comincia ad avere paura di lui. Quando Dixon le chiede di sposarlo, ella accetta, ma solo per paura di scatenare la sua collera. Prepara la fuga, ma, quando Dixon se ne accorge, la aggredisce e sembra stia per strangolarla quando una telefonata avverte che l’omicida della ragazza è stato catturato. Ma ormai fra i due si è creato un solco incolmabile di paura e diffidenza e tutto finisce.

Per la verità, il finale doveva andare altrimenti e cioè Steele strangolava la vicina e la polizia, discolpandolo dell’accusa della ragazza lo accusava ora di omicidio della vicina. La sceneggiatura era stata scritta anche da Ray ma non lo convinceva. Ad un certo punto, cacciò fuori tutti dal set e provò un finale con Bogart e  Gloria Grahame (la vicina). Il nuovo finale (quello che tutti conosciamo) gli pareva più indovinato e così fu cambiato (non va dimenticato che Bogart era anche produttore del film, cosa che impedì a Lauren Bacall, sotto contratto alla Warner Brothers, di avere la parte di Laurel (la vicina), visto che le Majors temevano che i produttori indipendenti creassero una pericolosa concorrenza). La Bacall era da tempo unita a Bogart, mentre la Grahame, sposata con Ray, stava per separarsi e la rottura avvenne proprio durante le riprese del film e malgrado Ray l’avesse scelta per la parte di Laurel (la vicina).

Ma, a ben vedere, il film altro non è che la storia triste di un uomo di talento incapace di controllare la sua aggressività. La sua è una vera e propria malattia di cui egli è cosciente, ma la tragedia è che non riesce a vincersi. Non si sa se questo problema sia effetto di esperienze passate in guerra, non è dato saperlo. Ciò che è evidente è che quest’uomo crea ostilità e solitudine attorno a sé. La gente gli sta alla larga, il suo lavoro ne risente. Durante i momenti di serenità, Dixon è un uomo generoso, colto e piacevole. Il suo agente è forse la sola persona che lo sopporta. Laurel, la vicina, lo conosce in uno di questi momenti di serenità e poco a poco se ne innamora. Ma al di fuori di queste persone c’è il vuoto.

Louise Brooks, in un breve saggio apparso su SIGHT AND SOUND “Humphrey and Bogey”, vede nel carattere di Dixon molti punti in comune con l’uomo Bogart: la solitudine e l’isolarsi dal mondo esterno, il suo egoismo, l’alcolismo, una certa pigrizia squarciata qua e là da improvvisi lampi di violenza. Bogart quindi interpreta a meraviglia un ruolo che lo tocca nelle sue corde più intime e gli permette di interpretare uno dei ruoli più convincenti della sua carriera. Il film, a mio avviso, uno dei più belli di Ray, ha un ritmo coinvolgente ed è scritto magnificamente. Questo personaggio, d’animo gentile ma posseduto da un demone che scatena un’aggressività patologica, estrema capace di distruggere ciò che più ama, è uno dei ritratti più inquietanti di questo grande attore che è Bogart. Personalità disturbata, cosciente della propria autodistruzione e sempre meno capace di impedirgli di scivolare nell’abisso, è un ruolo difficile e atipico interpretato magistralmente.

 

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