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Mad Fate

Regia di Soi Cheang vedi scheda film

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La recensione su Mad Fate

di EightAndHalf
8 stelle

Soi Cheang è una delle firme meno chiacchierate del nuovo cinema hongkongese. Dalla recente attenzione riservatagli dalla Berlinale e dal FEFF di Udine è stato possibile riportare all’attenzione un nome attivo da almeno 3 decenni e trascurato a favore di altri nomi più noti. La ragione di questo squilibrio è da trovarsi forse nell’apparente adesione alle modalità del genere che il regista applica con regolarità, dall’horror al fantasy fino al noir. E c’è poco di più nero del nero di Limbo, del 2021, che ha mostrato forme e immagini di un regista fuori misura.

Mad Fate non è da meno. Anzi, forse privandosi della sostanziale serietà apocalittica di Limbo è più propenso a manomettere le aspettative di chiunque, degli spettatori ma anche dei suoi protagonisti. Che sono in effetti tre, anche se due più in primo piano dell’altro, ad attivare tre diversi binari e traiettorie, tre modi di guardare gli eventi, tre chance del genere stesso di motivarsi e svilupparsi.

Un indovino prevede l’omicidio di una donna; sul luogo del crimine incontra un testimone, un giovane delivery boy, morbosamente ossessionato dal sangue; alla ricerca del killer si mette l’ispettore di turno. E così ha il via la storia di un uomo che vuole sfidare Dio, di un uomo che deve sfidare i suoi desideri e di un uomo che segue la razionalità. L’ultimo è meno protagonista perché più naturalmente scalzato dalle ragioni del film, che impiega l’80% del suo tempo a inseguire l’indovino atto a eseguire rituali bislacchi e imprevedibili per convincere il giovane amico a privarsi della sua sete di sangue.

E intanto il mondo si deforma su misura di quelle follie: i temporali fanno sì che gli eventi prendano altre strade, il destino fa inciampare i protagonisti e l’uomo razionale non combina assolutamente nulla. È invece l’indovino, il johnnie-toiano Gordon Lam, a far sì che Dio risponda continuamente, bloccando il ragazzo che, bunuelianamente, non riuscirà a uccidere per tutto il film, e attivando tempeste arcobaleno, piogge torrentizie e catastrofi, mentre tutti sopravvivono a botte in testa, coltellate e quant’altro. Nel bel mezzo di questa follia - così perfetta nei caratteri del procedural senza pretese - altri livelli infiniti di lettura: l’uso misterioso della mascherina (che serve a mascherare la propria identità o a nascondere cicatrici), l’eterogeneità di Hong Kong, la fede, la banalità dei drammi a favore della necessità del destino e del mito surrealista. 

Un capolavoro che già si piazza di diritto fra i titoli migliori di un affollato 2023.

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