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Fermière à Montfaucon

Regia di Éric Rohmer vedi scheda film

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La recensione su Fermière à Montfaucon

di mck
8 stelle

Gente in Progresso: un’Altra Vita.

 

scena

Fermière à Montfaucon (1967): scena

 

L’esistenza umana nella campagna piccarda di Montfaucon (dipartimento dell’Aisne, nel nord della Francia), a fine anni Sessanta, in transizione verso la modernità, raccontata, tra le gioie e le responsabilità, le fatiche e le soddisfazioni quotidiane, mediante l’immanente esperienza personale di una contadina, seguendo il ritmo delle stagioni: un Racconto d’Estate, Autunno, Inverno, Primavera, e ancora Estate: 13 minuti, uno spicchio (e a tratti uno specchio) di vita, tra l’effimero e l’eterno, e un buon proposito giornaliero per sé stessi, andando incontro al futuro, performandolo.

 

 

Éric Rohmer, che a quel tempo aveva già esordito nel lungometraggio, prodotto da Chabrol e in contemporanea ai colpi di Truffaut e ai respiri di Godard, con “le Signe du Lion” (1959), e aveva diretto il breve e primo dei sei Racconti Morali, “la Boulangère de Monceau”, sceglie questa storia di genius loci per dirigere uno dei suoi ultimi cortometraggi, prodotto con Barbet Schroeder attraverso la loro les Films du Losange, appartenente a una serie di documentari commissionati a vari registi dalla tv di stato d’oltr’alpe (ministero degli affari esteri e dell’agricoltura).

 

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Fermière à Montfaucon (1967): scena

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Fermière à Montfaucon (1967): scena

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Fermière à Montfaucon (1967): scena


C’è già tutto, dell’autor-cineasta in strutturazione e maturazione (forma e sostanza, stile e contenuto), ché il critico già esisteva [il tono e le tematiche sono profondamente rohmeriani - basti considerare “l'Arbre, le Maire et la Médiathèque, ou: les Sept Hasards” (1992) - e, fra i tanti e molti altri, se ne “ricorderanno”, sia che conoscano o ignorino lo specifico dell’opera in questione, e pur tramite diverse mediazioni e attitudini e differenti sguardi e atteggiamenti, l'umanesimo di Edoardo Winspeare ("In Grazia di Dio", "la Vita in Comune") e la "trascendenza" di Alice Rohrwacher ("le Meraviglie", "Lazzaro Felice", "Omelia Contadina", "Quattro Strade"), mezzo secolo dopo], in queste riprese (16mm, 4:3) fotografate con la collaborazione di Néstor Almendros (a Man with a Camera / l’Uomo con la Macchina da Presa: “l’Enfant Sauvage”, “la Vallée”, “CockFighter”, “l'Histoire d'Adèle H.”, “la Chambre Verte”, “Days of Heaven”, “Perceval le Gallois”, “Pauline à la Plage”) e cadenzate dalle parole intelligenti e sentimentali pensate e pronunciate [dopo esser state, nel mezzo, tra la riflessione e l’enunciazione, trascritte - in quale proporzione senza intervento di sovrascrittura e quanto ad ogni modo aderenti alla realtà soggettiva della non-attrice, data la natura del progetto, non è dato saperlo - in un soggetto (dialoghi in forma di monologo) di 4 pagine manoscritte in loco da Denise Basdevant (il film è il “trattamento” di quelle impressioni raccolte a guisa d’intervista), con la quale Rohmer girò l’anno prima “une Étudiante d’Aujourd'hui”] dalla protagonista unica Monique Sendron (un marito, un figlioletto, un armento di 36 mucche da latte e 120 ettari di pascolo: chissà se ancora vive, e che fa, e che pensa, oggi).

 

 

Finitimi Orizzonti Riconquistati. 

Gente in Progresso: un’Altra Vita.

* * * ¾ (****)           

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