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Just 6.5

Regia di Saeed Roustayi vedi scheda film

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La recensione su Just 6.5

di supadany
7 stelle

Venezia 76 – Orizzonti.

Più un obiettivo è ambizioso, più la strada per raggiungerlo è in salita, corredata da ostacoli imprevisti e trappole disseminate per arrestare l’avanzata. Anche per queste ragioni, è indispensabile credere ciecamente in se stessi, attingere a ogni grammo di energia e provarci fino a prova contraria.

Una sfida potenzialmente senza fine riguarda la lotta al traffico di droga. Se pensare di sconfiggere un sistema così sterminato è pura utopia, chi ogni giorno combatte per sgretolarne un pezzo deve comunque sapere che il suo non sarà un contributo vano.

D’altronde, come affermato in Just 6.5, ogni singolo rallentamento di questo smercio non rappresenterà la salvezza del mondo ma almeno limiterà gli ingenti danni collaterali.

Samad (Payman Maadi) è un integerrimo agente dell’antidroga, fermamente intenzionato a sgominare i vertici del traffico di stupefacenti della sua città. Le indagini lo condurranno sulle tracce di Nasser Khakzad (Navid Mohammadzadeh), un uomo di cui nessuna autorità conosce il volto e considerato il vertice dell’organizzazione malavitosa che fornisce droga a milioni di iraniani.

Mentre Samad è disposto a correre ogni tipo di rischio pur di completare la missione, Nasser si giocherà tutte le carte a disposizione per evitare di incappare in una condanna definitiva.

 

scena

Just 6.5 (2019): scena

 

Reduce da un enorme successo al botteghino iraniano, Just 6.5 salda l’impegno civile all’intrattenimento, una tematica di immane impatto sociale con una disposizione perennemente attizzata.

Infatti, gli oltre centotrenta minuti del film non hanno mai un tentennamento. Decollano con una spettacolare ouverture per poi spaziare dalle irruzioni agli assalti armati (in ghetti maleodoranti), dagli inseguimenti agli arresti, per poi focalizzare la massima concentrazione sugli interrogatori e quanto accade all’interno di celle sovraffollate, luoghi in cui tutto può succedere (anche se non dovrebbe).

Un moto perpetuo, organizzato tra tattiche di attacco e difesa, con ampio ricorso alle maniere decise, in cui raggiunto un target si passa direttamente al successivo. Quindi, l’adrenalina è protagonista, mentre l’intreccio - chiaro e ramificato – verte principalmente sul conflitto tra Samad e Nasser. Se nel caso del poliziotto siamo in un’area consueta, in quello dell’antagonista prende corpo un tratteggio umano di raro spessore, senza ipocriti atti di perdono o ravvedimenti intempestivi, bensì ricorrendo alla paura della morte e di un distacco anticipato dagli affetti.   

Per il resto, gli espedienti di sicuro affidamento sono sparpagliati con equilibrio e le transizioni avvengono speditamente, catapultando lo spettatore nell’eterna lotta tra la polizia e il crimine. Una disputa che il trentenne regista Saeed Roustayi ha fortificato con chiarezza e capillarità, un’attenzione ai principali punti di vista, il ricorso a codici cinematografici e una cadenza arrembante.  

Da trangugiare tutto d’un fiato.

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