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The Fireflies Are Gone

Regia di Sébastien Pilote vedi scheda film

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La recensione su The Fireflies Are Gone

di supadany
7 stelle

Torino Film Festival 36 - Concorso Torino 36.
Quello di sentirsi irrimediabilmente fuori posto, è un tipo di malessere che ha un'origine, spesso rintracciabile nell'ecosistema perimetrale del singolo individuo, e contempla delle reazioni istintive non circoscrivibili, che partono per la tangente infischiandosene delle conseguenze. Una condizione che deperisce gli entusiasmi ancora ai loro albori e induce lo sviluppo di una rabbia interiore, da sfogare puntualmente per non implodere. Trattasi di atteggiamenti che creano distanze incolmabili con il mondo e spingono spiritualmente altrove, facendo scomparire anche le occasioni, un po' come accade alle lucciole spazzate via dall'inquinamento.
La monotonia di una piccola comunità dispersa nella provincia canadese, soffoca Lione (Karelle Tremblay), un'adolescente insoddisfatta e irrequieta.
Stritolata tra desideri che non riesce ad appagare e tremendamente umorale nelle sue passioni, ha un legame logoro con sua madre (Marie-France Marcotte) e pessimo con il compagno (François Papineau) di lei, soffrendo per la lontananza forzata di suo padre Sylvain (Luc Picard).
Quando conosce Steve (Pierre-Luc Brillant), un musicista molto più grande di lei e rinchiuso nel suo microcosmo, intravede un raggio di luce, comunque obbligato a fare i conti con una situazione generale che non trova pace.

 

Karelle Tremblay, Pierre-Luc Brillant

The Fireflies Are Gone (2018): Karelle Tremblay, Pierre-Luc Brillant

 

Con la sua opera terza (già le prime due - Le vendeur e The dismantling - erano in concorso al Torino Film Festival), Sébastien Pilote dipinge il ritratto di una figura controversa. Infatti, la giovane protagonista è un bruco che attende l'input che la aiuti a trasformarsi in farfalla. Lo vorrebbe tanto, ma ogni volta qualcosa s'inceppa rispedendo al mittente quanto solo abbozzato.
Un personaggio anticonformista che rappresenta degnamente il disagio verso i percorsi prestabiliti, in una società monocromatica che procede alla cieca senza porsi interrogativi, con un velo di nostalgia verso le battaglie di un tempo, ormai sommerse dalla polvere del dimenticatoio (a suo tempo, il padre della ragazza era un rappresentante degli operai in una fabbrica).
Questa descrizione in moto perpetuo, rotea attorno al nucleo del malumore, semina con una certa dose di spavalderia, rimane spiritosa nella buona e nella cattiva sorte, mette in campo un'energia strapazzata, tra derive burrascose e rapsodie estemporanee, delle brevi e magiche dal sapore ribelle e disintossicante.
Ancora, va segnalata la vitalità di Karelle Tremblay, un volto interessante capitato a fagiolo per potersi esprimere a 360 gradi, dalla felicità fino allo scontento autodistruttivo, per un infuso intuitivo capace di scatenare scosse continue senza scovare un'oasi di pace, dicendo quelle scomode verità che tante volte si pensano ma raramente si dicono.
Pungente e sensibile.

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