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Pop Aye

Regia di Kirsten Tan vedi scheda film

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La recensione su Pop Aye

di ROTOTOM
8 stelle

Un road movie con elefante. Alla pesantezza dell'animale fa da controcanto la leggerezza con la quale la regista tratta i temi del disorientamento esistenziale. Molto bello.

Stralunato e commovente road movie con pachiderma.

Thaneth Warakulnukroh, Bong

Pop Aye (2017): Thaneth Warakulnukroh, Bong

 

Un road movie lento, a passo d’elefante, ingombrante simbolo di un tempo passato, spensierato e felice. Come un fumetto, come Popeye. Le due figure che si staccano dalla morfologia contemporanea della Bangkok proiettata nel futuro, sono anime gemelle che ripercorrono ognuno la propria strada a ritroso, alla ricerca di un passato ormai rimosso da una società in evoluzione che non ha memoria né rispetto. Non c’è posto per l’elefante nella Thailandia moderna, non c’è posto per Thana, architetto che reagisce all’inevitabile disgregarsi della propria vita aggrappandosi appunto alla memoria. Una memoria d’elefante, vien da dire. O forse no. L’importante è il viaggio, assaporare il gusto della strada, la chimera del ritorno accarezzando gli unici ricordi spensierati e felici appallottolati in un antro nascosto della memoria, in quel povero villaggio dove Popeye era il fedele compagno di giochi. Al viaggio verso le proprie radici corrisponde per il protagonista il viaggio interiore attraverso le proprie paure, all’inseguimento di un flashback della propria vita che sembra sfuggirgli man mano che avanza (indietreggia) verso di esso.

Thaneth Warakulnukroh, Bong

Pop Aye (2017): Thaneth Warakulnukroh, Bong

Rimosso senza pietà dalla società rampante, evitato dall’appagata e triste moglie che nello sguardo non ha più anima, Thana da architetto che era distrugge ogni appiglio della propria vita, si aggrega alle anime decretate sconfitte dal mondo che incontra nelle strade facendo tesoro della loro prorompente umanità. La ricostruzione del sé interrotto passa attraverso il riappropriarsi di uno sguardo innocente del mondo, senza giudizio, senza quelle sovrastrutture che impongono una sentenza su ogni aspetto della vita. La strana coppia si muove con sorprendente leggerezza, invade l’orizzonte come una visione mistica, ingombra il quadro con insolenza, condivide il tempo con i comprimari incontrati on the road donando loro un po’ della loro storia. Un po’ comici, un po’ tragici, questi due clown feriti sono gli ultimi ribelli di una società che si è sganciata dall’anima lasciando solo deserto. La lentezza, i silenzi, la pesantezza, la dolcezza degli sguardi, il desiderio di un cambiamento che tenga conto di ogni singolarità (reietto, trans, architetto, elefante che sia) sono i soli strumenti reazionari a disposizione per non arrendersi a un’esistenza che non appartiene più a nessuno dei due. Il registro leggero ed equilibrato che la regista Kirsten Tan tiene in maniera ferrea per tutta la durata del film è una delle componenti di maggior valore dell’opera, riuscendo a stemperare il dramma acido che si dipana tra le strade fuori Bangkok e non scadere nella farsa nei momenti più felici. Complice anche il lavoro di uno straordinario attore come Thaneth Warakulnukroh capace di condensare in uno sguardo il complesso spettro delle emozioni che vive il suo protagonista, capacità che gli consente di ritagliarsi una nicchia nel cuore dello spettatore, testimone di un’opera realmente emozionante.

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