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Duello nel Texas

Regia di Riccardo Blasco vedi scheda film

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La recensione su Duello nel Texas

di scapigliato
8 stelle

Il Gringo, ovvero Richard Harrison, torna a Carterville dopo quattro anni al fianco di Francisco, un bandido messicano. A casa, convinto di trovare pace e serenità, dovrà invece vedersela con gli assassini del suo padre adottivo, un messicano di nome Diego che aveva trovato l’oro nella propria terra. Dovrà anche tenere a bada il fratellastro, Manuel, irascibile e pronto a sparare pur di vendicare il padre. A cercare di risolvere la faccenda legalmente ci si mette il bel sceriffo che tutto è fuorchè affidabile. Bell’imbusto fin troppo assente, il personaggio interpretato da Giacomo Rossi Stuart è l’ambiguità della legge che vige da quelle parti. Lontane dai paesi più civili e acculturati, e troppo vicine alla frontiera messicana per far finta di non vedere problemi come l’integrazione coi messicani, le scorribande dei banditi, e soprattutto l’indifferenza del resto dei paesi civili. Facile quindi prendere l’iniziativa di derubare un povero vecchio del proprio oro anche se si è un uomo di legge.
Il bello del film è che è un classico. Classico nella regia, nell’impostazione visiva e in quella narrativa. Dopotutto è un film del 1963, quindi è uno di quegli euro-western pre-leoniani che si rifacevano al modello classico americano. Anche Ennio Morricone, che musicò il film, non era ancora passato dalla rivoluzione leoniana che poi tutto cambiò per sempre. Ma proprio nella sua classicità, la pellicola di Richard Blasco riesce ad entusiasmare gli occhi e il cuore. Le locations madrileñas sono bellissime, così come il villaggio western (forse lo stesso di “Per Un Pugno di Dollari”) ben fotografato, ben ripreso, ben “vissuto” nella set decoration. Anche gli inseguimenti a cavallo, con tanto di sparatoria, sono classici ma bellissimi, e restituiscono allo spettatore la magia di un’intera epopea. Idee visive azzeccate, così come il parco attori, da Giacomo Rossi Stuart, di bella presenza statuaria, a Richard Harrison, che nei suoi primi western dimostrava una naturalezza persa poi in pellicole come “Reverendo Colt”. Il film è diretto con misura, con rigore e con precisione. Non sbava affatto e non permette al qualunquismo di insidiarsi nelle trame del racconto, compreso quello visivo. E il duello finale che dà titolo alla pellicola italo-spagnola è un duello secco, non ancora influenzato dal modello leoniano, ma è stato poi montato con attenzione dei tempi e delle figure, icone di una epopea che mai finirà di emozionare ogni uomo, ragazzo o bambino che sia.

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