Il titolo originale di La città incantata, vincitore dell’Oscar nel 2003 come miglior film d’animazione, premio non ritirato da Miyazaki per protestare contro la guerra in Iraq, suona in italiano così: La sparizione di Sen e Chihiro causata dai kami. I kami, secondo la millenaria tradizione giapponese, sono le divinità o gli spiriti che vivono nelle cose, nella natura, sono centinaia, forse migliaia, anche se la più celebre e venerata è Amaterasu, la dea del sole. A conservare il culto dei kami è la religione politeista originaria del Giappone, lo shintoismo ma sarebbe più corretto dire lo shinto, unione di due kanji (gli ideogrammi): shin che si legge anche come kami (cioè può esserne sinonimo) e to, che poi sarebbe do, la via. Letteralmente, quindi, “la via del divino”. Perdendosi sulla quale, nel film, la piccola Chihiro finisce in uno strano mondo, scambiato dal papà un po’ fesso per un dismesso parco dei divertimenti.

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La città incantata (2001) scena

Si tratta invece di una stazione termale per kami gestita con severità dalla malvagia (fino a un certo punto) Yubaba, nel cui nome riecheggia la più celebre strega della tradizione russa, Baba Yaga, ma in giapponese significa “l’anziana signora dell’acqua calda”. Che meraviglia. Miyazaki nelle interviste spesso minimizza il significato profondo del film (su La città incantata potete leggerne una interessante sul sito www.studioghibli.it), preferisce siano gli spettatori a crearsi i propri percorsi di senso tra i mille riferimenti e i livelli di lettura. Il racconto nasce dall’esigenza di inventarsi una fiaba con una protagonista bambina di dieci anni da narrare a sua figlia e alle amiche della stessa età durante una vacanza in montagna. Anche però da un’illuminazione che solo il genio dello Studio Ghibli poteva avere: i kami sono ovunque, sempre presenti e operativi, avranno bisogno di “staccare” ogni tanto e riposarsi, no? Da qui l’idea delle terme a loro dedicate.

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La città incantata (2001) scena

L’anziana signora dell’acqua calda dà a Chihiro il nome di Sen, in verità le ruba l’identità - visivamente in modo letterale: sottrae caratteri al kanji del nome originale - perché chi vive nella città incantata dimentica chi è stato, ma la bambina si sforza di ricordare anche per portare a termine la sua missione, salvare i genitori trasformati in maiali. Come nelle fiabe occidentali, dove spesso sono bambine le eroine (e c’è tutta una lettura freudiana del perché il Paese delle meraviglie sia di Alice e non di un Giovanni qualsiasi, interpretazione peraltro alla base di tantissimo horror), il racconto è anche di formazione ma a Miyazaki interessa soprattutto misurare le potenzialità dell’infanzia e la forza di Chihiro di mantenere memoria di sé.

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La città incantata (2001) scena

Una volta lasciata la città incantata, secondo quanto viene detto, dimenticherà tutto ma resta il dubbio ed esiste una lettura giapponese affascinante secondo la quale la bambina stessa sia, o sia destinata a diventare, una kami. Come sempre nell’opera di Miyazaki l’avventura e l’immaginazione ti restano attaccati addosso, la visione dei suoi film è un’esperienza che non finisce, esattamente come quella di Chihiro nella città incantata, dalla quale lei uscirà spiritualmente arricchita e consapevole, come un po’ noi dal cinema.

Autore

Mauro Gervasini

Firma storica di Film Tv, che ha diretto dal 2013 al 2017, è consulente selezionatore della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia e insegna Forme e linguaggi del cinema di genere all'Università degli studi dell'Insubria. Autore di Cuore e acciaio - Le arti marziali al cinema (2019) e della prima monografia italiana dedicata al polar (Cinema poliziesco francese, 2003), ha pubblicato vari saggi in libri collettivi, in particolare su cinema francese e di genere.

Il film

locandina La città incantata

La città incantata

Animazione - Giappone 2001 - durata 122’

Titolo originale: Sen to Chihiro no kamikakushi

Regia: Hayao Miyazaki

Al cinema: Uscita in Italia il 18/04/2003

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