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Doodlebug, il folgorante corto di Christopher Nolan
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Nel 1989 un giovane Christopher Nolan, ancora agli esordi e registicamente pressochè da svezzare, riesce a far proiettare il suo primo cortometraggio sul canale americano PBS. In seguito alla partecipazione al Cambridge Film Festival e alla realizzazione di Larceny e Doodlebug, due corti sperimentali e fortemente improntati allo stile peculiare dei suoi esordi, Nolan conosce sua moglie Emma Thomas, una produttrice cinematografica che lo affiancherà per tutto l'arco della sua carriera.

Londinese, Nolan inizia a girare corti in tenerissima età, a sette anni, con la Super 8 del padre. Studia letteratura inglese al University College di Londra, e saranno proprio questi suoi studi letterari a forgiarne l'idea di cinema, anche se con degli esiti assolutamente anticonvenzionali. Il cinema letterario di Nolan non è infatti cinema estetico o estetizzante come quello di uno James Ivory o di uno Joe Wright alle prese con l'adattamento pur lodevole di Pride & Prejudice. Nel senso che Nolan si discosta sprezzante, e lo fa fin da subito, dalle derivazioni illustrative o dalle iconografie di riporto proprie di adattamenti stiracchiati di romanzi belli ma polverosi o di un immaginario televisivo a dir poco stantio, abbarbicato, per intenderci, a quelle storie "che puoi permetterti di seguire anche andando al bagno cinque minuti". La letteratura gli sembrava allora ben più capace di innovare le strutture narrative, superando certe rigidità delle sceneggiature classiche. Ed è questa l'idea di cinema portata avanti da Nolan negli anni con i suoi film labirintici ed enigmatici, sfalsati nei piani temporali, negli intrecci serrati, nelle conflittualità dicotomiche tra personaggi fortemente carismatici e perfino nei livelli mentali che si vanno facendo sempre più cerebrali e sovrastrutturati, come nell'ultimo, dibattuto "Inception". 

Ma il suo terzo corto, girato dopo il surrealista Tarantella e Larceny (visto per l'appunto al Cambridge Film Festival del '96), più che su una complessa e aggrovigliata groviera narrativo-onirica si basa su una minimale e folgorante intuizione: tre minuti su una caccia all'insetto con colpo di scena finale, quanto di più basico ed essenziale per convogliare la sospensione dell'incredulità nello spettatore. L'estetica fotografica è evidentemente identica a quella del successivo esordio di Chris Nolan, il lungo(ma per poco)metraggio "Following" (1998), prodotto proprio da Emma Thomas: stessa fotografia di e perfino lo stesso interprete principale, Jeremy Theobald. Ma sebbene la sciupata e sciatta ruvidezza in bianco e nero della messa in scena non possa non rimandare per analogia a "Following", l'imprinting di regia e l'armonizzazione delle varie componenti "accesorie" (montaggio sonoro, visual effects, scenografia), complice anche il minutaggio ridotto, è meglio concentrato e focalizzato tanto da sembrare anche lievemente più curato. "Doodlebug" è un mini "room movie" claustrofobico tra Hithcock e Lynch, in fondo più crudo e caustico che visionario. La visionarietà di Nolan alla fine della fiera conserva sempre un'aura di profondo e spaventoso realismo che tende ad ancorarla al reale. I ticchettii pennellati e inquietanti da incubo psichedelico e i livori di una solitudine implosa che ha lasciato fermentare e germogliare i suoi frutti più insani ricadono sullo spettatore come un colpo di frusta subitaneo. Esattamente come il finale, sorprendente ed inquietante. Quasi ancestrale, psicanaliticamente, se ripensiamo per esempio a vecchi topos lillipuziani o a ricorrenti favole di orchi e proporzioni fisiche sfalsate che infestano da sempre il nostro immaginario e la nostra memoria immaginifica collettiva. Si pensi a Carroll, per esempio, all'Alice che cresce in altezza e rimpicciolisce, ma non solo. Non a caso, quelli occhi che vanno a comporre le due "O" del titolo "d-O-O-dlebug" sembrano una soluzione grafica presa in presto dal lisergico Stregatto. Cinema letterario, quello di Nolan, lo dicevamo. 

Eccovi il corto.

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