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Lui lo sa. Lo sa che il suo film è profondamente divisivo. Lo sa da quando Triangle of Sadness ha generato reazioni scomposte a Cannes, portandosi comunque via la Palma d'Oro 2022. Lo sa perché il pubblico di mezzo mondo è uscito frastornato dalla famosa scena di fiumi di vomito e liquami vari che dura quei debordanti 20 minuti. Però Ruben Östlund sa anche come intrattenere il suo pubblico e quindi, quando si presenta nella sala del CineCiutat (Palma di Maiorca, Isole Baleari) come ospite di una proiezione speciale di Triangle of Sadness, la prima cosa che fa è arringare il pubblico sul grande valore che risiede nel semplice fatto di essere lì, in quel momento, insieme, a vedere il suo film, in una sala da 200 posti di una cittadina di mare che non credo sia mai stata così piena di pubblico da anni. Ed è proprio dalla scena incriminata del vomito che parte la "sua" arringa.



Come sicuramente saprete, inizia, in questo film ci sono delle scene che sfidano il buon gusto e la resistenza dello spettatore. Eppure il fatto di essere qui, insieme, è un grande valore perché tutti insieme potete fare delle cose che da soli, seduti sul divano, davanti ad uno schermo da 52 pollici non vi verrà facile fare: urlare, esprimere il vostro dissenso, il vostro imbarazzo. Ed è esattamente quello che vi invito a fare. Facciamo delle prove, avanti.



Dopodiché Ruben Östlund si improvvisa direttore d'orchestra di un ipotetico dissenso sul suo film (che non abbiamo ancora visto) e chiede agli spettatori di modulare vari livelli di crescente disapprovazione portando il pubblico a ruggire in un boato, dopodiché qualcuno scelto a caso da lui, dovrà alzarsi e urlare, con voce forte e piena, scandendo bene le parole, THIS-IS-CINEMA!

Sebbene la strategia del regista fosse chiara fin dall'inizio (far partecipare lo spettatore in maniera attiva valorizzando al massimo l'esperienza di gruppo) e quindi non sarebbe stato difficile disinnescarla con un approccio mediamente critico o anche solo scettico, la verità è che io non ho avuto alcun desiderio di sabotare l'happening che Ruben Östlund stava confezionando per noi. Per di più era anche il giorno del mio compleanno e quella serata era il mio bellissimo regalo. E così, dopo averci portato per mano su una frequenza condivisa, l'autore di Triangle of Sadness ci ha lasciato alla proiezione del film, dicendo: Ci vediamo dopo, ma mi raccomando, voglio sentire rumore.

E in effetti sì. Abbiamo, tutti, rumoreggiato di brutto. Abbiamo sospirato complici nel segmento di apertura della pellicola, alla presentazione dei due personaggi principali, bevendoci la capacità di Östlund di rappresentare perfettamente le dinamiche che portano le coppie - grazie ad una parola sbagliata, uno sguardo obliquo, un silenzio di troppo - sull'orlo di un litigio per questioni piccole ma non irrilevanti.

E abbiamo riso rumorosamente quando, nel secondo segmento, l'autore ci trasporta nel lusso idiota di una crociera per ricchi sfondati su uno yacht che naviga tra le isole della Grecia. Abbiamo riso di gusto alle stigmatizzazioni efficaci dei personaggi che lo abitano. Abbiamo espresso il nostro sconcerto, scardinato da qualche risata, alla lunga scena incriminata in cui ai ricchi ospiti viene impartita la fondamentale lezione di vita che, no, lo champagne non fa passare il mal di mare. Abbiamo vibrato all'unisono quando - dopo il delirio in cui tutti stanno malissimo e vomitano l'anima accompagnati da un pezzo di heavy metal che rende il tutto perfettamente grottesco - sulla tolda dello yacht rotola una bomba a mano, lanciata da un gruppetto di pirati che si avvicina all'imbarcazione su un gommone con l'intento di depredarlo. E a raccogliere la granata che esploderà e l'affonderà, è proprio quella coppia di facoltosi e molto eleganti inglesi di una certa età che, poco prima, aveva risposto alla domanda "E voi cosa fate di bello?" dicendo che la loro professione consisteva nel commercio di prodotti che hanno il grande e nobile obiettivo di salvaguardare la democrazia nel mondo. Oh, che interessante. E quale, di grazia? Granate, ovviamente! BUM.

E poi abbiamo segretamente goduto quando, a esplosione avvenuta, i pochi superstiti approdano sulla riva di un'isola apparentemente disabitata e l'unica capace di procacciare il cibo sembra sia Abigail, un membro dello staff fino a quel momento invisibile e destinato alle mansioni più umili. Che così sovverte l'ordine sociale precostituito rendendo i ricchi ex-ospiti dello yacht dipendenti da lei e dai suoi capricci, sfiorando, non so quanto inconsapevolmente, la dinamica Melato/Giannini del film della Wertmüller (quale yacht? Io non vedo più alcuno yacht).

Se già normalmente penso che vedere certi film al cinema inibisca un po' il mio spirito critico - per la spettacolarità dello schermo e dell'audio e appunto per la compresenza del pubblico - posso affermare che la simpatia di Ruben Östlund lo ha annullato completamente. La disponibilità dell'autore a rivelare gustosi aneddoti del set, a svelare come siano nati certi personaggi (come il bukowskiano capitano della nave interpretato da Woody Harrelson) e certi dialoghi e quali siano i mezzi che adopera quando vuole far raggiungere agli attori esattamente il registro che ha in testa, hanno rappresentato una vera e propria dimensione supplementare che ha aggiunto al film una grana, un livello, forse un filtro, che ha reso la mia visione più piena ed emotivamente coinvolgente, ma di certo non più obiettiva.

Mentre l'esperienza scivolava morbidamente sullo schermo mi sono accorto che stavo mettendo in atto un meccanismo per cui quando qualcosa non sembrava chiarissimo o non perfettamente riuscito, invece di dargli troppa importanza, lo spostavo in un angolo sapendo che avrei avuto la possibilità di chiedere lumi all'autore. E questa possibilità ha spesso avuto l'effetto di lasciare al film il tempo di spiegarsi da solo, di autodeterminarsi, di prendersi il tempo necessario per costruire l'atmosfera senza che io spendessi delle risorse destinate alla visione per alimentare il mio dissenso. Invece di costruire la mia opinione sul contrasto, facevo decantare i momenti meno riusciti (tanto poi chiedo a Ruben!) e alla fine mi è sembrato che il film sia riuscito sempre a riprendersi da solo. Sarebbe bello se fossi davvero capace di concedere alle persone la stessa fiducia, lasciando gli stessi spazi vuoti prima di riempirli di giudizi o pregiudizi.

A fine proiezione le domande sono state tantissime e altrettante le rivelazioni sui retroscena del film, sulle scelte di regia rivelatrici di come - a dispetto di una certa tendenza di Östlund a realizzare film a tesi, in cui cioè è fin troppo chiaro un disegno, un intento teorico o una giustapposizione strategica di opposti - questo film sia pieno di vita vissuta, di esperienze personali, di corpi e di umanità, più che di obiettivi moralizzatori e stantii psicologismi o socialismi.

Scelgo di raccontarvene uno in particolare perché penso che dica tanto del film e di Östlund. Nel segmento che si svolge sull'isola, una volta che lo yacht degli straricchi è esploso, il cibo scarseggia. Sulla spiaggia si è arenata anche una delle lance di salvataggio dello yacht al cui interno ci sono dei beni di sostentamento che sono anch'essi il simbolo della stupidità della ricchezza eletta a sistema: acqua gasata in bottiglia, patatine e confezioni di pretzel che diventano, ovviamente, merce preziosa. Quando due dei sopravvissuti si ritrovano a far la guardia ad un pacchetto di pretzel e sentono la naturale impellenza di tradire la fiducia della comunità nutrendosene prima degli altri, inizia un teatrino molto mimato e poco parlato che li porta ad aprire un angolino della confezione per farne uscire i bastoncini prelibati, combattuti tra la convinzione che nessuno se ne sarebbe accorto ma già devastati dal senso di colpa. Una scena che ho temuto stesse rischiando di diventare inutilmente lunga e invece poi si è rivelata molto azzeccata.

Quando è stato il momento delle domande, qualcuno ha chiesto a Ruben quali fossero i suoi riferimenti cinematografici per Triangle of Sadness: Buñuel, Kubrick, Haneke? E lui ne ha approfittato per dire che sì, certo, questi maestri lo hanno ispirato e ormai sono dentro il suo sguardo ma quando si è trovato scontento di un registro o di come stava andando un take con gli attori i riferimenti sono stati molto più bassi e popolari. La scena dei pretzel, ad esempio, ha detto, l'ha ottenuta come l'aveva immaginata dopo averla provata 25 volte e solo dopo aver fatto vedere ai due attori un video di YouTube in cui un cane che aveva rubato il cibo ad un gattino era stato scoperto e rimproverato dal suo padrone. L'espressione colpevole del cane era quella che lui aveva in mente e solo quando l'ha mostrata ai due attori che dovevano mangiare i bastoncini di pretzel di nascosto è riuscito a far capire esattamente quello che aveva in mente.

Ho la massima stima per chi è capace di rispondere ad una domanda, che potrebbe solleticare l'ego tirando in ballo i maestri del cinema, svelando un retroscena culturalmente basso, esponendosi alla possibilità di deludere la parte della sua audience più raffinata ed esigente privilegiando la condivisione di un frammento di reale artigianato cinematografico.

Chi segue questa newsletter lo sa: io non sono un critico, non scrivo recensioni. Se a volte succede che io racconti un film o una serie credo che ciò avvenga con lo stesso spirito con cui lo farei se fossimo seduti a tavola a pescare patatine fritte da una ciotola comune. Io non sono tagliato per l'obiettività, io mi innamoro. E se mi chiedete di alzarmi e gridare THIS-IS-CINEMA, lo faccio!

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