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Censura? Una presa per il c**o
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– Sta a voi farlo cessare. Adesso se potete. Pace, beatitudine... con una semplice parola. Dovete solo gridarla: pietà.
Coraggio, ditelo. È così facile (…) Pietà, pietà (…)

– LIBERTÀaaaaahhhhh

 

Non c’è stato bisogno di torturare il Ministro della cultura Dario Franceschini per fargli levare forte il suo grido di libertà davanti alla folla. Ci ha pensato da sé, con il Decreto che istituisce la nuova Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche (49 membri, signori) e abolisce il veto all’uscita in sala, prerogativa sin qui affidata a sette commissioni ad hoc.

Abolita la censura cinematografica, definitivamente superato quel sistema di controlli e interventi che consentiva ancora allo Stato di intervenire sulla libertà degli artisti.” Recita il comunicato del del MIC datato 5 aprile 2021.
Come non rallegrarsi? Come non gioire? La storia della censura cinematografica in Italia è stata lunga e dura: prima la lunga mano fascista, poi quella democristiana e perbenista.

Censura politica, ovviamente, ma anche ispirata a un’idea di decoro pubblico che oggi fa strabuzzare gli occhi.
Se volete divertirvi e acculturarvi fatevi un giro su due siti davvero pieni di contenuti (purtroppo ormai poco facili da fruire: il digitale invecchia molto più velocemente della carta).

Si tratta di Cinecensura e Italiataglia, due splendidi database, il primo con anche diversi spezzoni incriminati, il secondo con grande documentazione storica.
Tuttavia, se entriamo nello specifico, questo proclama di libertà, questo storico risultato, a guardarlo bene, sembra un po' una presa per il culo. E ora vi dico perché.

 

 

Innanzitutto perché quello che è stato abolito è il visto censura che - se in passato ha fatto stragi - negli ultimi anni trent'anni è stato negato in tutto a due o tre film: il caso più eclatante è stato quello di Totò che visse due volte, di Ciprì e Maresco, del 1988 bloccato perché "degradante per la dignità del popolo siciliano, del mondo italiano e dell'umanità". Poi c'è stato un filmetto horror nel 2012, Moriturus, che ha ampiamente sfruttato la pubblicità per uscire sul mercato homevideo fregiandosi del marchio di infamia. Insomma, certo è più che bene che in futuro casi simili non abbiano a ripetersi, ma la verità è che nei fatti la cosa appariva già superata.
Inoltre, questo va ben compreso, il visto censura si applicava sino a ieri solo per l'uscita in sala, e riguardava quindi le pellicole destinate quindi a una proiezione in pubblico. Non si applica né mai si è applicato al mercato dell'homevideo o a quello dello streaming. In sostanza se siete Netflix o Prime Video potete fare ciò che volete: nessuno verrà a sindacare (anche se poi è evidente che all'interno di quei sistemi vigono ferree regole di autocensura: nessuno vuole turbare il mercato, il padrone più potente di tutti, statene certi).

Basterebbe già questo a rendere palesemente strumentale l'uscita di Franceschini: in un momento in cui si parla di difesa della cultura, mettersi al petto la medaglia di colui che ha abolito la censura appare un'operazione pretestuosa e persino farsesca, che culmina nell'istituzione questa mega commissione di 49 membri dove c'è posto per tutti, persino per i membri delle associazioni per la protezione degli animali, e che dovrà occuparsi di suddividere i film in quattro categorie: per tutti o vietati ai minori di 6, 14 o 18 anni. Io vorrei davvero esserci a una riunione dove si discute se un film è vietato o meno ai minori di anni 6: giuro che sarei disposto a pagare. Chissà invece se loro saranno pagati, chissà.

C'è però un ulteriore distinguo da fare e la stampa lo ha fatto notare. Molte volte la censura non fu operata dall'alto, negando il visto, ma dal basso: moltissimi furono i film approvati dalle commissioni apposite che vennero poi ritirati a seguito di denunce di cittadini o associazioni. Quindi se la censura preventiva dello Stato non colpirà più (come del resto nei fatti non colpiva già più), non cesserà eventualmente quella operata dai tribunali: la stessa che dispose il sequestro di Teorema e di Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pasolini o la condanna alla distruzione di Ultimo tango a Parigi, di Bertolucci.

Di fronte a questa censura, con buona pace di Franceschini, il suo decreto sarà inutile e impotente.

 

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