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Della natura agghiacciante della sedicente superior pregnanza artistica
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Della natura agghiacciante della sedicente superior pregnanza artistica. Micro-saggio in forma caustica, Il Caustico Editore, Milano, 2019 (reperibile in tutte le più inesistenti librerie [digitali o meno])

 

Si ha sempre l'impressione, che dire la sensazione, che talvolta tali, anche smisuratamente acclamati, autori indulgano alquanto eccessivamente nella non proprio meritevole attività detta propriamente dell'"auto-incensazione".

Si auto-adulano e auto-riveriscono in nome di una superiore concezione dell'arte che, naturalmente, si rivela  di pochi eletti, mentre l'incolta maggioranza non può minimamente essere in grado di comprendere l'elevata caratura della stessa.


E così, sempre tali autori, si lanciano nella realizzazione (o nell'adattamento) di opere "grondanti" sedicente artisticità ma incredibilmente sfiancanti e, più importante, non tanto geniali o intelligenti come i suddetti autori sono convinti invece siano.

 

 

L'inintelligibilità viene così assurta a nuova, imprescindibile, finalità della creazione artistica, mentre schiere di "esperti" proni, trascorso un ragionevole lasso di tempo, si ritrovano sempre pronti ad elogiare precisamente questa dimensione della sedicente arte in oggetto.

Chiaramente, sedicente non (solo) in quanto inintelligibile, affatto. Ma sedicente in quanto all'inintelligibilità spesso vengono non troppo bizzarramente associati tutta una serie di altri fattori che ne rilevano ancor più vistosamente la natura di pura e semplice, nonché cinica e irriguardosa, beffa.

 

Appare (o dovrebbe apparire) di pallida evidenza a chiunque che l'esperienza, detta in povere parole, dell'essere presi per i fondelli, indipendentemente dal contesto, non si configuri mai come la più stuzzichevole delle esistenti. Al contrario, può giustamente essere ritenuta tra le più disdicevoli e perniciose.

Il bullismo ne è esempio pratico, e tragico, nel mondo reale, ma quando la presa in giro risulta invece "istituzionalizzata" ecco che subito il globale consenso circa la necessità di estirparne le radici, eradicarne l'origine, subito s'assotiglia, e di molto.

Ciò può essere vero per i più svariati campi (politico, economico, sociale, ecc.) ma si configura, probabilmente, come ancor più irritante nel circoscritto e variopinto (e spesso, bisogna dirlo, anche stimolante) ambito artistico.

 

Che il nuovo (o non troppo nuovo) obiettivo dell'arte debba essere quello di cristallizarsi in una materia di elitaria concezione e "consumazione" è solo una delle tante, sempre più frequenti, contemporanee e non solo, per l'appunto beffe portate avanti nel confronto dell'uomo e della donna medi.

Ai quali, invece e evidentemente, il contatto con la vera bellezza, con l'arte magnifica (ovvero, non quella oggetto della presente, forse un po' troppo severamente caustica, discettazione) non potrebbe che fornire ulteriore e nuovo mezzo di elevazione culturale, personale e anche spirituale (da intendersi in connotati prettamente laici, in mancanza di termini migliori).

 

Come disse una volta un esimio signore, "se si insegnasse la bellezza alla gente la si fornirebbe di un'arma contro la rassegnazione, la paura e l'omertà" (e l'esimio signore in oggetto altri non è che Peppino Impastato).

 

E dunque l'arte elitariamente intesa provoca i danni più disparati, specialmente perché diventa unicamente prerogativa di una manica ristretta di privilegiati i quali dalla stessa, fin troppo spesso, non ricavano quasi più particolare elevazione spirituale e cognitiva, ma bensì più irritante e potenzialmente dannosa presunzione simil-intellettualoide, nella convinzione di essere gli unici in possesso della straordinarie facoltà richieste per comprendere l'arte stessa.

 

Viene spacciata, con la stessa disinvoltura e con lo stesso cinismo di un pusher pienamente consapevole degli effeti nocivi della sostanza oggetto del suo commercio, all'uomo medio, magari incapace di intravederne la natura bellamente sbeffeggiante, perché sempre magari di formazione personale non artistica, questa sedicente arte e la relativa sedicente conoscenza della stessa, senza preoccuparsi, naturalmente, di rendere il suddetto uomo medio davvero partecipe, ovvero di rendersi intelligibili, ma al contrario di renderlo, l'uomo medio, spettatore apatico e lettore sostanzialmente disinteressato, irrimediabilmente tediato da una forma di conoscenza e di supposta "divulgazione" di carattere puramente astruso.

 

 

Questo, tristemente, per coprire gli insormontabili quanto evidenti deficit dell'arte al centro della "divulgazione" stessa.

 

Perché, lapalissianamente, quando ci si trova nello scomodo, quanto però "ghignantemente" perseguito, compito di "elevare" di statura opere che meriterebbero unicamente l'oblio, o quantomeno gran minor considerazione, non si può che riparare nel costruttivismo più fantasioso, che consiste essenzialmente nell'inventarsi di sana pianta le supposte qualità, nonché i supposti profondi, inattingibili, spesso naturalmente incomprensibili agli "incolti spettatori", edotti e pregnanti messaggi della creazione artistica in questione.

 

E così imbrattare un effettivo capolavoro dell'arte disegnandovi sopra (per fortuna, quantomeno, ad una copia e non all'originale) dei baffetti come potrebbe fare un bambinetto, un poco idiota, di cinque anni diventa incredibilmente, nella narrazione critica, emblema di un, per l'appunto, "pregnante" anticonformismo, e non una potenzialmente sanzionabile (per "vilipendio della memoria e del buon nome del prodotto artistico ignominiosamente imbrattato") e obbrobriosa schifezza.

 

 

 

Allo stesso modo, nel caso specifico dell'arte cinematografica, l'atto di produrre (non si sa reperendo dove i necessari finanziamenti) opere filmiche talmente insensate e, talvolta, "inusitatamente" estenuanti nonché incomprensibili diventa incredibilmente emblema della nascita di un nuovo genio dell'arte.

 

Ci si crogiola bellamente nella proprio elitismo da sommelier dell'arte, e da creatori di inintelligibile "bellezza", divertendosi appassionatamente a deridere la massa amorfa degli stolti che, ovviamente, non sarà mai in grado di raggiungere la necessaria "levatura" nonché "caratura" morale e psichica da riuscire infine a comprendere la straordinaria, quanto totalmente evidente agli occhi dei "grandi elitisti", qualità intrinseca della detta opera.

 

Se una serie curiosamente disposta di barattoli genialmente contenenti merda accuratamente sigillata vi può apparire una emerita idiozia senza alcun qualsivoglia costrutto, vuol dire che siete degli stolti ignoranti; se guardare per sei ore un tizio che dorme o la "stupefacente bellezza" cangiante in bianco e nero dell'Empire State Building newyorchese vi suscita sinceramente e inevitabilmente rifiuto o indifferenza, significa ovviamente che non siete (e non sarete) mai in grado di comprendere la vera arte che vada oltre un "scontata" linearità o una "superata" pura e semplice bellezza estetica.

 

Significa che siete, irrimediabilmente, condannati ad una vita misera, anemica e incolore, perché non riuscite nemmeno a giovarvi di questi ed altri estasianti "progressi" nella ricerca artistica.

 

E se poi, per reazione, o meglio per tragica rassegnazione, per estenuazione, per volontà di smettere di essere presi per i fondelli, finite (finiamo) dunque per riparare, talvolta quando non troppo spesso, sul commerciale e ancor più banale (nonché frequentemente espunto di qualunque valenza realmente artistica), di che è dunque la colpa?

 

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